Copertina


Blog fondato da Giuseppe "Pippo" Ripa


dedicato a GIOVANNI ARDIZZONE


in memoria di Luciana Donazzi

scomparsa il 24 agosto 1997, gentile amica di tutti noi,

in memoria di

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novita'

Quale è la cosa più difficile di tutte? Quella che sembra la più facile: con gli occhi vedere ciò che davanti agli occhi si trova. (Goethe)

domenica 29 agosto 2010

a Giovanni Ardizzone



E’ vero:  il ’68 al Cusm cominciò molto prima, nel 1962, ma in pochi se ne accorsero e la morte di Gianni Ardizzone fu presto dimenticata, fra un torneo di bridge e uno di tennis; anche la stampa non si occupò del Collegio Universitario, conosciuto solo dagli addetti ai lavori ed, essenzialmente, perché voluto da C. Mario Cattabeni, il Rettore di allora, famoso per avere eseguito l’autopsia, forse di parte, sulle spoglie di Benito Mussolini; se ne occuperà, molto tempo dopo,  la rivista “abc” quando annuncerà al mondo che in quel collegio si praticava il libero amore. Ma anche  dentro il Collegio si preferì dimenticare in fretta e furia; non ci furono assemblee:  non ce n’erano mai state e non ce ne sarebbero state per un pezzo;  non ci fu nessuna commemorazione ufficiale, pur vivendo nella rossa e proletaria Sesto San Giovanni.  A molti di noi non fu concesso di incontrare i genitori, la madre di Gianni, quando venne a ritirare i suoi effetti personali. Alcuni di noi avrebbero voluto farle tante domande per capire di più, per dare un senso alla sua morte  e per onorarne la memoria, ma non ne ebbero l’occasione.  Allora il collegio non era  come molti di noi l’hanno poi conosciuto. Nel 1961 e nel 1962 c’era un direttore, sempre presente,  che aveva il solo compito della direzione e del controllo, a cui ci si doveva rivolgere per avere il permesso di uscire la sera (che spesso veniva negato) e che era capace di aspettare che tutti rincasassero prima di andare a dormire.  Sarà anche lui completamente travolto da questa esperienza e sostituito con una direzione diversa, affidata ad uno dei tutor e assistenti universitari che viveva, allora,  con una leggerezza che da li a poco non ci sarebbe più stata. Forse anche di lui dovremmo far menzione nel sito, dal momento che, più di altri, legò la sua vita ed il suo destino al Collegio Universitario. In quel contesto  la drammatica morte di Gianni  fu vissuta da molti come qualcosa di estraneo e di poco comprensibile: eravamo lì per studiare ed il successo, la popolarità, si misurava col  numero di esami che eri riuscito a dare. Ed è per questo che la mia testimonianza non ha la pretesa di rivelare  nulla di nuovo, magari di non detto, sulla morte di Gianni, ma, attraverso il ricordo delle emozioni e dei sentimenti di quei giorni, cercare di ricostruire quello che penso sia stato il nostro peccato originale.  
Dunque la sera precedente alla grande manifestazione, Gianni arrivò trafelato ed eccitato: erano circa le 19, si aspettava che aprisse il ristorante par la cena,  e si avvicinò ad alcuni di noi  che giocavano  a tressette:  tutti meridionali e, tra loro, M. R., dichiaratamente iscritto al PC e, per questo, guardato con rispetto o dispetto dagli altri ospiti. Anche per questo credo si fosse avvicinato a noi e, tutto eccitato, ci disse che l’indomani ci sarebbe stata una grande manifestazione, che c’erano già state, quel pomeriggio,  avvisaglie di quanto sarebbe successo, perché tutte le organizzazioni che l’avevano promossa  erano decise a lasciare una profonda impressione nella città, attraverso una mobilitazione generale: ci sarebbero stati tanti operai e dovevamo esserci anche noi studenti! Ricordo che vestiva come al solito: camicia a quadri, pantaloni e giaccone di velluto a coste e fustagno: più da sportivo, appassionato di montagna, che da bravo studente di medicina, quale poi era! Ci disse con fierezza che aveva partecipato alla organizzazione e che sarebbe stato in prima fila. 
La sera dopo, alla stessa ora, arrivò l’incredibile notizia. Si parlò di una particolare  ferocia della polizia che avrebbe praticato una vera caccia all’uomo, inseguendo, con le camionette,   gruppetti di manifestanti,  fin sui marciapiedi; si disse pure che era stato investito da una camionetta della polizia, semplicemente perché cercava di mettere in salvo alcune compagne, sorprese dalla ferocia della carica e impietrite dalla paura. Alcuni di noi si recarono nei giorni successivi, in piazza Duomo per deporre un fiore sul luogo in cui era caduto e in non pochi fummo sorpresi di vedere un grande giardino.