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Blog fondato da Giuseppe "Pippo" Ripa


dedicato a GIOVANNI ARDIZZONE


in memoria di Luciana Donazzi

scomparsa il 24 agosto 1997, gentile amica di tutti noi,

in memoria di

Claudio Bertoluzzi (✝ luglio 2006) - Pier Luigi Golino (✝ maggio 2003) - Luciano Riffaldi - Salvatore Gozzo - Guido Gennaro - Danila Zadra (✝ 11 aprile 2007) - Tiziana Begarani - Marina Bonora - Nino Amato - Gegé Falaschi - Vincenzo (Gianni) Pennetta - Matteo Guerini (✝ aprile 2006) - Lalla Bosi - Marco Pennacchioni (✝ 1994) - Valentino Santoni - Augusto Agazzani (2011) - Anna Nay Savina - Enzo Baldoni - Gino Gorgoglione (✝ dicembre 2011) - Giuseppe Ripa (✝ 24 maggio 2012) - Mario Pramaggiore (✝ 16 giugno 2012) - Fausto Salghetti (28.11.2013) - Salvatore Caputo (10.01.2015)

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novita'

Quale è la cosa più difficile di tutte? Quella che sembra la più facile: con gli occhi vedere ciò che davanti agli occhi si trova. (Goethe)

lunedì 4 giugno 2018


ventiduesimo incontro :  Corte Franca
14 ottobre 2018
organizzato da   Gian Marco Sabbadini

* * *



rassegna FOTO incontro
XXII   -  in  Franciacorta 


in arrivo
Marinella, Silvia, Fernando, Nino
Fer.Ni.
registrazione arrivo Franco Andretta
in attesa
torbiere o cantine ?
Gian Marco, gran patron, guida alle torbiere
Franco e Santino : torbiere

flora, ivi

eccole
gruppo alcolisti
Gianclaudio, Piero e Tex porgono orecchio
bottiglie : come si riempiono
come si consevano
come si vuotano
Eugenio :   primo iscritto, primo pagatore. Nostro Numero Uno.
tocca a Luigi, Renato, Alberto
Donazzi controlla banconota : caro Alloggio, qui niente peso ..
niente peso argentino, solo euro.  All'incontro di aprile, .. magari ..
facciamo anche l' incasso "porta a porta"
Totale incassato !   Pranzo può esser iniziato !  

 Annalisa                 Santino
Santino    e   Giovanna Botte
Luigi Limardo e Annalisa
 Ferdinando Tessari (Tex)
 Gian Marco Sabbadini
 Brava Mariella !!
 Gianclaudio
Piero Tegliai e Susanna
 Susanna e Marinella Mirinino
 Paolo Pulina, poeta sopraffino
 (visto da vicino), di peso non pochino
 dietro
 front : è Carlo De Martinis
 Rosita
 Fernando Palombo
 Mirella Zocchi
Susi e Piero
Marinella e Paolo

Raffa & Peppi
Massimo Appiani
Raffaella
 Piero
 Peppi
 Massimo
 Anna
 Nino Alloggio e Luigi Bonani
 Giovanni Leo
 TRIA (giovanni, piero, luigi) NGOLO :    UE'  UE'
 Giovanni Leo
Luigi Bonani
 Maria Grazia
Alberto Giussani, prof.
Flavia Molinari alias Canevari
 Gianbattista Giudici
 detto Titta
 Eugenio Pozzi
 Silvia Castagna e Franco Andretta
b i s 
 Renato                             Enrica
Renato
Santino      Piero                Giovanna


profilo di Massimo Appiani
 
Flavia Molinari è a destra ..
 Nino, Domenico, Teresita, Carlo, Fernando
post prandium aut stabis ...

 Gian Marco Master Chief del XXII incontro
 Titta ed Eugenio - - - the Bridge tra passato e futuro
 Marinella & Paolo
 Fernando
 Giianclaudio  Marini           Piero Tegliai
 
 Il nostro fotografo di fiducia, Edoardo Sanfilippo.  Grazie Edoardo !!
 Silvia rimembra ancor
 Gianclaudio
 Susanna
.. e Piero

 il Titta in chiaroscuro
 per finire
il VENTIDUESIMO,  MA   è sempre come   LA PRIMA VOLTA
.. E  ..  "arrivederci alla prossima"     ( aprile 2019 - XXIII )
____________________



Hic
manebimus         optime
.   .   .   .   .   .   .
F a m    e t    i a

E, ad ultimo, così chiude la kermesse,
poetando come gli conviene, il nostro Paolo.

      Dopo le Quattro Terre in Franciacorta     
                                   
 Maddaluna questa volta propone due dubbi amletici: 
da mangiare, carne o pesce (per essere sintetici).  
Prima bisogna scegliere del bere  fra due scuole: 
chi sa che la torba affumica il malto e il whisky ha profumo fine  
ben volentieri in mezzo alle torbiere consuma le suole;  
gli altri vanno a fare una visita alle cantine: 
così sanno perché il vino a tavola è così buono.  
Dopo l'arrivo di tutti i  trentasette, il nostro nostromo  
obbliga, come al solito, il matematico Donazzi  
a contare bene gli euri, se no per lui son acidi cazzi!  
E allora conta e riconta e torna a ricontare;  
finalmente attorno alle tavole rotonde si comincia a masticare!  
Tutte ottime le portate e per i vini si è già detto.  
Dopo il caffè, data la giornata baciata dal sole 
nessuno ritornare a casa subito vuole  
e quindi a gruppi, all' aperto, tutti gli autisti ad aspettare 
che passi l'effetto più forte del bevuto néttare. 
Poi la comitiva man mano si scioglie
e ciascuno  anela a riguadagnare le private soglie. 
E dunque si chiude anche il ventiduesimo meeting  
e dato che ci hanno fatto tornare a casa belli contenti 
sono doverosi almeno due ringraziamenti:   
uno al masterchef Sabbadini, l' altro al nostro primatista in mail-bombing!   
Paolo Pulina

eCCOCi
Eugenio Pozzi 
Gian Battista Giudici 
Mariella e
Gian Marco Sabbadini, Master Chef 
Pietro Maddaluna 
Silvia Castagna e 
Franco Andretta 
Fabrizio Donazzi 
Mirella Zocchi 
Marinella Mirinino e 
Paolo Pulina 
Domenico Carbut 
Susanna  e
Piero Tegliai 
Edoardo Sanfilippo 
Raffaella e
Peppi Morello 
Santino  e
Giovanna Botte 
Annalisa e
Luigi Limardo 
Guido Villa 
Gianclaudio Marini 
Anna e 
Luigi Bonani  
Renato e
Flavia Molinari 
Nino Alloggio 
Fernando Palombo  
Massimo Appiani 
Enrica Molignoni e
Alberto Giussani C
Ferdinando Tessari 
Teresita  e
Carlo De Martinis 
Mariagrazia e
Giovanni Leo 


Attento, subito dopo gli 
aggiornamenti sull' incontro del 14 ottobre,
continua la tua lettura del " Professor De Sanctis " !
   La sesta uscita  (è del 7 ottobre).



6 ottobre 2018 .  XXII : Franciacorta.
Ventiduesimo incontro.              Le Quattro Terre, via
Risorgimento 11, Corte Franca (Bs).      Ore 11 : visita
cantine / torbiere.            Ore 13 :  pranzo (euro 45).
per l' incontro di domenica
NOI  ci  sìAMO  :
Eugenio Pozzi (C)
Gian Battista Giudici (P)
Mariella (P) e T
Gian Marco Sabbadini, Master Chef (P) T
Pietro Maddaluna (P) C
Silvia Castagna (P*) T e
Franco Andretta (P) T
Fabrizio Donazzi (P)
Mirella Zocchi (P)
Nino Bosco (P)
Marisa Bellotti (C) T e
Gian Franco Tantardini (P) T
Marinella Mirinino (C) e
Paolo Pulina (P)
Domenico Carbut (C)
Susanna (P) C e
Piero Tegliai (C) C
Edoardo Sanfilippo (P) C
Raffaella (C) e
Peppi Morello (P)
Santino (C) T e
Giovanna Botte (C) T
Annalisa (P) e
Luigi Limardo (P)
Guido Villa (C)
Gianclaudio Marini (P) T
Anna (C) e T
Luigi Bonani (C) T 
Renato (C) e
Flavia Molinari (P)
Nino Alloggio (P) C
Fernando Palombo (P) T 
Massimo Appiani (P) T
Enrica Molignoni (C) e
Alberto Giussani (C)
Ferdinando Tessari (P) C
Teresita (P) T e
Carlo De Martinis (P) T
Mariagrazia (C) e
Giovanni Leo (C)
(P)=pesce  (C)=carne   T=torbiere  C=cantine
...
E TU ?

_________per INFO guarda_________
http://www.quattroterre.it/locanda/agriturismo/ 
Scegli Quale
*
  MENU PESCE  :  P  
  1-   Persico dorato, insalata e vinaigrette al lampone.
    2-   Risotto al Franciacorta, ragù di lago, polvere di alga.
3-   Filetto di trota arrosto su polenta morbida di Ortondo.
4-   Tortino di mele.
  *
MENU CARNE  :  C
1-   Flan di verdura di stagione con fonduta di robiola
bresciana e speck croccante          
2-   Risotto mantecato all' estratto di barbabietola,
salsa al Parmigiano.
3-   Petto di faraona in crosta di frutta secca, crema
di melanzana e salsa di vin cotto
4-   Tortino di fichi e noci.
+
.. IL VINO 
è a scelta fra franciacorta bianco fermo,  rosso e  brut
(una bottiglia ogni due commensali)
+
*
Per   il   14 , 
scegli la TUA  strada
Poi .. ore 13, tutti a pappare 
++++
  il .. Sesto stato  
Io sono stato a 
Sesto, in collegio.
Tu a Sesto (sei) stato.
Non un passaggio ma un' appartenenza.
il Sesto stato
in cammino 
verso il ventiduesimoincontro.


La nostra 
Lettura prenatalizia

Salvatore Carachino - Professor De Santis
 Cap. 1. Scuola

Mancava una mezz’ora alla fine del ricevimento generale. Non si sentivano più voci, richiami e passi affrettati. I bidelli erano passati a spegnere mezze luci nel corridoio. Il segnale ai docenti di sbrigarsi entro l’orario stabilito. Un diffuso nervosismo era salito quel pomeriggio a ispessire l’intreccio delle ragioni delle famiglie con le ragioni dei professori. Peraltro al mattino sfidando la fredda giornata di dicembre la quasi totalità degli studenti dell’istituto tecnico veronese per il turismo era corsa con altre scolaresche delle superiori nelle vie del centro a manifestare contro il governo. Anche i genitori, i compiaciuti del profitto dei figli, come i rassegnati, avevano avuto da lamentarsi in generale del sistema scuola.  
   A strascico di quello che sperava essere stato il suo ultimo colloquio il professore di lettere Luigi De Santis si levò dalla sedia come per un presentimento. Mentre accompagnava a piccole tappe verso l'uscita la genitrice caduta in loquace depressione per i brutti voti del figlio, sentì dire chiaramente: «Vada pure prima lei, Zanetti.» La signora Maestri, madre di Milena, studentessa di quinta, compariva sulla porta dell'aula col signore cui dava la precedenza. Questo significava che non era venuta per le normali informazioni sulla figlia, ma aveva un motivo speciale per essere ultima in un incontro senza limitazioni di tempo, senza altri a osservare da lontano e a insospettirsi.

      Cominciava così una angosciosa attesa per De Santis che, tornato al suo banco presso la finestra sulla quale si stampava la sera nebbiosa, tentava di mettere insieme un giudizio su Giorgia Zanetti, compagna di classe di Milena. «La ragazza è brava. Studia molto. Partecipa. Sono contento della sua preparazione…» Non era che un galleggiare su frasi schiumose. Presto avrebbe gettato in allarme l’ascoltatore abituato ad altro genere di presentazione del quadro scolastico della figlia. Intanto la Maestri rimaneva piantata sullo stipite della porta a fissarlo da lontano quasi a significare che non pensasse di scappar via sul limite della scadenza di orario. Figura pericolosa. Due anni prima, in terza, nel suo primo colloquio col professore, avvertita che la figlia aveva gravi insufficienze nelle materie professionali che pregiudicavano la promozione, “Di chi è la colpa? Chi è il responsabile?” aveva urlato, facendo voltar la testa all’altro docente e all’altro genitore presenti in aula. “La verità è che voi in questa classe vi fate odiare” aveva aggiunto levandosi dalla sedia ed andando via senz’altro dire. Adesso non di voti si sarebbe parlato e la signora forse sfruttava il tempo per aggiustare le parole a ben più pesanti accuse. Il professore cercava una via di uscita. Vedeva la nuvola gonfia di grandine. Era inevitabile che gli si aprisse sulla testa. Ma il momento era buono, la scuola tra una settimana avrebbe chiuso per le vacanze di Natale e si presentava un tempo abbastanza lungo per ripensarci e dimenticare. Scandalo circoscritto con ferite interne, dolorose ma invisibili.
(Seconda uscita)
Di anni trentacinque, di origini salentine, piacente per semplice assenza di disarmonie fisiche, il professore era giudicato un tipo amabile. In verità lui si scopriva spesso colpevole di stati alterni ancorché leggeri di depressione e di esaltazione nell’altalena dell’anima. Educato tuttavia a non infastidire il prossimo con i moti del suo sentire, all’attenzione del mondo esterno risultava provvisto di raro equilibrio emotivo. Campione di risposte brucianti, aveva una buona parola per tutti. I bidelli apprezzavano la sua autorevolezza, necessaria con i ragazzi per non consentire che la scuola si trasformi in un luogo di disordine. Le alunne a loro volta non gli lesinavano esternazioni di puro affetto ed atteggiamenti seduttivi, innocui anche se utili per le future prove della giovinezza, mentre investivano in attenzione alle lezioni, quella benedetta attenzione ormai così scarsa nelle aule scolastiche. Qualche professoressa tentata a invaghirsi del collega non sposato si bloccava a sospetti su esistenze di compagne per favoleggiare delle quali era sufficiente che una volta sola fosse stato visto con una giovane donna in giro o a folleggiare con la stessa nelle sale dei balli latino americani. Gli amici intimi sapevano dei suoi avvicendamenti sentimentali, ma da diversi segni erano convinti che Luigi fosse rimasto rematore solitario davanti a una favolosa isola del passato qui punteggiata di luci e festosa di musiche e canti, là circonfusa di nebbie e adagiata in inquietanti silenzi.
   Luigi De Santis sentiva elevarsi il disagio e la paura. Alla madre di Milena poteva essere giunta qualche traccia scritta, qualche pettegola voce di turbameni indotti nella ragazza, di sentimenti sfuggiti dal mondo del sogno, quindi sfarinati e imbruttiti a contatto con la realtà. Passava in rassegna le possibili colpe che la signora avrebbe potuto imputargli, ma non riusciva a ricordare un fatto, un’occasione che avessero lontanamente l’aria di un corteggiamento della figlia. Sapeva di non averla pretestuosamente fermata nei corridoi per chiacchiere fuor di luogo, di non averla guardata sfacciatamente, di non averle rivolto complimenti diretti durante lezioni o interrogazioni. Se apprezzamenti c’erano, andavano alle studentesse secondo necessità ed erano di natura tale che ciascuna poteva condividerli a suo piacere con le compagne come premio e promozione per tutte. Insomma lui esercitava l’arte difficile di incoraggiare la giovinezza per se stessa e di premiare le fatiche con questa connesse. Milena era l’allieva promossa col sei generosamente stirato nelle materie di italiano e storia e col credito in alcune altre. Aveva trascinato lacune nella preparazione lungo anni di rigidi e soffocanti metodi educativi. Cosa poteva farci lui se i colleghi di seconda gliela avevano consegnata in condizioni critiche per frequentare il triennio? La prudenza escludeva atteggiamenti troppo teneri e comprensivi che sarebbero stati interpretati come sfacciato favoritismo dovuto a colpevole attrazione. Ma… Milena già dai primi mesi della terza classe era emersa agli occhi del professore bella per la perfezione di forme e l’armonia del viso, per lo sguardo luminoso, per i modi incantati di accogliere la nuova stagione della sua vita. La sua mente forse già cercava le parole giuste per raccontarla.
   Era stata l’unica della sua classe a entrare a scuola la mattina. Con De Santis sorpreso di trovarsi solo con lei in aula si era giustificata dicendo che voleva evitare un litigio con la megera di sua madre. A scuola si va per studiare. Non si sciopera contro se stessi. 
   «Non mi interroga vero? Mi lascia studiare per il compito di matematica?» 
   Una circostanza in cui la porta dell’aula rimane rigorosamente aperta. 
   Ma… Qualcosa di compromettente era di certo accaduto un mese prima, quando aveva chiesto a Milena e ad altre due sue compagne se accettavano di costituire con lui il seggio elettorale per la elezione della componente alunni al consiglio di istituto. Il seggio per comodità e rapidità era stato itinerante; le ragazze con schede e urna avevano fatto il giro delle aule per la votazione. Dovendo farsi vedere da tutta la scuola, Milena si era vestita come per andare a una festa. Luigi l’aveva osservata muoversi tra le file dei banchi parendogli ravvivasse con la sua sicurezza quei luoghi ingrigiti, svegliasse a bene ammirarla quelle teste annoiate. Dopo essere passati per due o tre classi lei si era sostituita al presidente dando le istruzioni e facendo concentrare su di sé gli sguardi e tremare, come dice un poeta antico, di chiarezza l’aria. A premio del lavoro o per meglio dire a ricompensa della compagnia di sei ore, considerando le operazioni di scrutinio, De Santis aveva regalato alle sue collaboratrici le fotocopie di un racconto di Čechov, La signora con il cagnolino. Il racconto, tra i più belli della letteratura universale, non c’entrava nulla ovviamente con il programma scolastico, ma per l’uomo era l’unico modo per far giungere a Milena un velato e malinconico messaggio. Sperava in un giudizio che venisse espresso da qualcuna delle ragazze a lettura ultimata. Non fu Milena a sollecitare commenti, ma l'amica Giorgia Zanetti.
   Le parole di De Santis trascinarono la classe su quella storia di amore difficile, sui paesaggi che vi fanno da sfondo: le sere d’estate a Yalta, il mare, i monti dell’entroterra sfumati a dilatare gli orizzonti, la vibrazione dell’aria e poi l’inverno del continente, la grigia città innevata, il ridursi in una stanza d’albergo, dove la felicità colpevole si vela di angoscia per l’incertezza del domani. Il commentatore si era soffermato sulla scena dell’incontro a teatro dopo una lunga separazione tra Anna e il suo amante. Tutti la conoscono; e lei, terrorizzata, corre dalla platea per corridoi e ridotti con al fianco l’uomo cui deve dire tutto in pochissimo tempo, sperando che i conoscenti che incrocia o il marito, che è in sala e potrebbe cercarla, vedano solo un giovane che procede con lei per qualche istante e per caso. La sorpresa e la felicità si annodano con lo spavento per le conseguenze future.
   De Santis non avrebbe saputo come giustificare il suo comportamento di quei giorni dello scorso novembre. La signora Maestri poteva avere scoperto quel racconto magari chiosato dalla figlia con chiaro indirizzo tra aperto compiacimento e studiata derisione. Ma qualsiasi disegno o scritto sarebbe stato una salvezza, perché così trattano i ragazzi anche il libro di testo più sacro. Peggio se… Milena lì al primo banco aveva fissato rigida lui che insisteva su quel terrore di Anna, su quel sentirsi risorta all’amore in opposizione a una situazione familiare chiusa e ostile. Un guaio se avesse lasciato delle note sedotta dal messaggio d'amore per lei attraverso l'arte del grande scrittore russo.

   Dopo aver saputo dei voti brillanti di sua figlia, il signor Zanetti, un dirigente nell’amministrazione comunale, quasi a rendere grazie, attacca con un elogio che al professore però non allevia la segreta morsa del gelo.
   «Vedo i progetti di Giorgia accompagnati da costanza e senso della realtà. Quando la sento parlar di scuola noto una continuità con la sua vita in famiglia e nei suoi discorsi non intravedo inganni indotti o effetti di una strategia educativa truccata che utilizza il frammento piacevole a combattere la noia generale. Mi permetta… So che lei cerca di contrastare il vuoto di valori che assedia i ragazzi. Non mi piacerebbe vederla spendere il suo tempo prezioso in una istituzione che mira allo scambio immediato, profitto contro sapere specialistico edulcorato con qualche stanco mito, giusto per l'intrattenimento.»
   Il professore si accorge che la signora cerca alquanto di superare il limite della porta per afferrare un qualche senso del discorso. È noto che Giorgia e Milena sono amiche. Le ragazze hanno fatto giungere pericolose confidenze alle famiglie? Agitato, gli soccorre una delle sue solite considerazioni ad effetto. «A noi docenti si chiede la quadratura del cerchio. C’è una necessità civile di prolungare la scolarità su buoni livelli qualitativi per tutti i giovani e porre le basi per una educazione permanente degli adulti. D’altra parte c’è un bisogno di professioni valide e differenziate che ci obbliga alla correttezza della valutazione.»
   «Tutto nelle mani di insegnanti ai quali non è chiesto più di essere dei modelli per i ragazzi. Mi piace che lei abbia fatto leggere delle celebri pagine da I Buddenbrok. Si intuisce in definitiva che l’universo politico deve distinguere tra chi è semplice operatore scolastico e chi invece è maestro. Se si formano i maestri sparisce il problema di una presunta contraddizione tra il bisogno di cervelli e il prolungamento della scolarità, già quando a scuola una diffusa educazione civile è sentita come bisogno primario cui non si rinuncia più nel volgere della vita. Per i semplici impiegati dell’istruzione, a dirla con uno dei personaggi del romanzo, è sempre un mistero il perché ad alcuni tocca il destino di terrorizzare gli studenti e ad altri quello di essere continuamente presi in giro. In questi disperanti casi il danno è grande.»
   De Santis, teso com'è, non sa decidere se le parole dell’interlocutore siano un sincero complimento o una velata irrisione, una mossa per indebolirlo già prima che entri la signora. Che sia stato mandato avanti apposta per indagare sulle strategie educative alla cui ombra la figlia sembra maturi felice?
   «Mi dispiace che in classe io non trovi il tempo sufficiente per la lettura dei giornali, per l’attualità; qualche volta lo faccio, ma è troppo poco. Troppe materie, troppi progetti, senza contare i corsi aggiuntivi promossi dalle famiglie a combattere tempi oziosi nei figli.»
   Misera giustificazione di una mente in tempesta. La signora dal vano della porta continua a fissarlo.
   Zanetti insiste. Sua figlia prova per la prima volta il sentimento dell’indignazione. Certo, se gli studenti di casa nostra non piangono per le incertezze del loro futuro per che cosa hanno occasione di piangere? È vero poi che vi è sollievo e vi è speranza quando una comunità di ragazzi legge a scuola i nostri autori classici con l’intendimento del presente. Schiettamente, la Giorgia per gran parte dell’estate scorsa è vissuta in quella felice armonia di storia e invenzione che è Guerra e pace, con i grandiosi avvenimenti entro i quali si muovono indimenticabili figure. Oh Natascia! oh Pierre! oh Andrej! in questi nostri tempi di morte del personaggio.
   «E tuttavia, professore, stamattina tutti gli studenti erano in piazza. Il futuro non può fondarsi soltanto sull’insegnamento della bella letteratura che pur sottende e anima le passioni.»
   «È vero, diamo questa impressione di episodicità nell’insegnamento delle belle lettere, addirittura di inseguire, come lei dice, degli stanchi miti, di essere dei perdenti nella concorrenza con i media. E tuttavia lei, signor Zanetti, forse saprà che Francesco De Sanctis scrisse nella sua grande storia della letteratura italiana che se Leopardi fosse stato in vita nel ’48 sicuramente l’avrebbero visto sulle barricate.»
   «Certo, certo. Il culto del bello, della poesia può generare il coraggio di combattere per il risorgimento civile, per difendere principi di libertà e di giustizia.»
(Terza uscita)
   Va bene, vorrebbe rispondergli De Santis se trovasse il fiato, Giorgia è brava e fortunata. È la prova che l’unica rivoluzione nella storia avviene quando si combinano insieme le occasioni di cultura, la voglia di studiare e il gusto della partecipazione sull’esempio dato dalla famiglia e soprattutto dalla scuola.
   Il quarto d’ora di considerazioni tra elogi e riserve del papà parlatore concede a De Santis di ripensare il suo atteggiamento con Milena. Oh le parole in dolce stile di cui una giovane ha bisogno! E il nostro padre Dante, il nostro Petrarca, il nostro Leopardi? A quelli tutta intera la colpa. Lui immaginava che la signora Maestri gli ficcasse in bocca una copia del programma sulla grande poesia per fargliela inghiottire e lui poi si sarebbe sentito sollevato da una punizione così blanda. Cominciava ad espiare per aver mancato ai suoi doveri. Mah! Su questo piano di questioni la Maestri avrebbe proceduto con le sue rimostranze e poi tutto si sarebbe presto aggiustato. Perché, vede, signora, (questa confusa e sbrigativa difesa si preparava nella sua testa) per evitare l’alienazione nozionistica, per evitare assuefazione e noia, bisogna scegliere ciò che non è soggetto ad accumulo, a ripetizione. È la grande poesia. Per le nostre adolescenti cos’altro si potrà proporre se non poesia d’amore? Siamo avvertiti comunque di una così grave responsabilità davanti a giovani allieve. Il rischio è confondere l’autore con… No, la signora non l’avrebbe seguito fin qui nel discorso. Resterebbe però il sospetto… È così presente il pericolo e intrigante il fatto che il poeta venga confuso con l’interprete …

   Lo sai, devo riperderti e non posso…

   Milena, perché Montale dice riperderti e non semplicemente perderti?
   Ma la domanda era stata rivolta veramente a lei? Capitava che pronunciasse un nome, ma poi tra gli allievi dava la risposta chi voleva e senza istinto di prevalere. Alla ragazza, la sola venuta a occupare stabilmente il primo banco, succedeva spesso che tralasciasse di rispondere tra felici cenni di complicità.
   Sul finire della lunga conversazione De Santis avvertì che aumentava la difficoltà di respiro. Una lontana immagine era venuta a ricordargli un diverso battito del cuore. Nell’ultimo giorno di scuola dell’anno scolastico precedente, dopo le solite premiazioni nel vasto giardino dell’edificio, i discorsi di congedo del preside, i rinfreschi e lo show ginnico musicale sotto il sole di giugno, era venuto il momento degli addii e Milena, unica e sola aveva cercato lui tra la folla, per porgergli un viso in fiamme. E con i baci tutta se stessa per un abbraccio severo.
   Nella universale disattenzione.

2 Promesse

Il ricevimento doveva essersi già concluso nelle aule attigue perché dalla porta filtrava ancora meno luce. Il nulla avanzò con la figura della madre di Milena. Si presentava per la chiusura di una storia, per cancellare memorie e sigillare una solitudine. La signora pronunciò un secco buonasera nel lampeggio di un debole sorriso, ma prima di sedersi e nel tempo breve di decidere dove posare la borsetta, aggiunse: «Vedo che state per chiudere. Ho solo una domanda.»
   De Santis riuscì a liberare la voce. «Mi scuso per essermi attardato con il papà di Giorgia. Si accomodi pure.» Come dire: non l’ho fatto apposta a tirarla per le lunghe sperando che te ne andassi via. Gli apprezzamenti ricevuti poco fa mi hanno rincuorato, allora, se vuoi strapparmi gli occhi, mi va bene che tu lo faccia in assenza di testimoni.
   Guardò fisso la signora in attesa della domanda. Riconobbe sul suo volto i tratti longilinei, duri sì da immaginare un carattere incline a dare ordini e facilmente innervosirsi. Occhi grandi e vivi su un viso stanco e turbato come da cupi pensieri. I capelli lunghi di un nero corvino tenuti da un laccio erano forse belli, se sciolti, ad accompagnare altro tipo di contatti e discorsi. Notando il soprabito grigio De Santis ricordò il sentito dire dalla figlia che sua madre si cuciva da sé i vestiti ed era occupata saltuariamente nelle fabbriche di confezioni. Provvide alla manovra dilatoria di aprire il registro e voltar le pagine alla ricerca di quella giusta.
   «Professore, la pagella l’abbiamo ricevuta qualche giorno fa. Vorrei soltanto sapere perché la Milena sta migliorando in tutte le materie.»
   Le parole erano state pronunciate molto in fretta e lo sguardo aveva incatenato il povero che aveva fermato in verticale una pagina del registro. La domanda era del tutto priva di senso se non detta con l’ironia cui ricorrono i genitori. O forse una offerta diplomatica per affrontare successivamente con chiarezza la questione. De Santis era pronto ad ammettere che se un allievo peggiora la colpa non può che essere dei professori. Per la famiglia non è imputabile al figlio il regresso, la demotivazione. Peggio: se regredisce in tutte le materie la colpa è di un docente particolare che gli ha procurato qualche grave trauma, essendo impensabile che gli altri docenti siano impazziti tutti contemporaneamente. Ma progresso o regresso, il senso di colpa del professore non conosceva logica e stava producendo effetti esterni visibili. Rispose inebetito: «È vero, sua figlia sta migliorando…»
   «E perché sta migliorando? Ho voluto essere l'ultima a colloquio per avere qualche spiegazione in più, se è possibile.»
   Come mai quella figliola si era messa a studiare con costanza e metodo?
   «Signora, io posso leggerle gli ultimi compiti di italiano e di storia e magari confrontarli con altri precedenti. Nessun problema per l’ora. Ma vediamo prima i voti.»
   Un espediente per nascondere la faccia sul registro per qualche istante e riprendere fiato. Quanto a recuperare da qualche armadio i compiti poi… Cercò il cognome Maestri prima sul registro di terza e poi su quello di quarta. Per fortuna fu interrotto prima che riuscisse ad aprirlo alla classe quinta.
   «Non perda tempo, professore. I voti negli scritti e nelle interrogazioni mia figlia me li ha detti sempre anche se di insufficienza. Vorrei da lei un giudizio. Mi farebbe un gran piacere che lei mi raccontasse della Milena.»
   Raccontare Milena!
   «Dal mio punto di vista ciò che succede a sua figlia è la normalità. Ha diciotto anni. La maturità, la responsabilità alla fine…»
   «L’età dei grandi innamoramenti, professore. Le chiedo: per un cambiamento così, di chi si sarà mai innamorata mia figlia? Già sono tanti gli anni che ho continuato a sgridarla perché si applicasse allo studio. È la prima volta che in pagella non vediamo insufficienze. Adesso in alcune materie ha anche il sette. Non fa che studiare. Magari mi sbagliassi su questo fuoco di paglia. Che ne sarà dopo?»
   Luigi ammutolito affidava i suoi pensieri a un codice segreto utilizzato dalle dita della mano destra. Quello stare in casa a studiare poteva avere molte cause. La più convincente era che Milena di corteggiatori ne avesse tanti, ma che intanto solo a scuola ascoltasse le parole che la rassicuravano della potenza del suo fascino sugli uomini. Era comunque difficile e imbarazzante ipotizzare alla madre questa causa prima e cercare poi altre, segrete, cause seconde. Lui cercava di riprendersi dall’angoscia. «Signora, sono contento per la ragazza e per la sua famiglia. Sono discorsi che ho ripetuto oggi con gli altri genitori. La scoperta delle occasioni culturali, combinata, se vogliamo, con l’imminenza degli esami, ormai…»
   «Lei mi vedrà confusa. Mi scuso se le chiedo di dirmi come vede la ragazza. Non mi dispiacerebbe se i voti tutti positivi risultassero a metà tra merito di studio e aiuto per il suo buon carattere. Che mi raccontasse di Milena. So che non è avaro di spiegazioni con le altre mamme. Il fatto è che nelle famiglie dei suoi studenti si parla molto di lei. Si potrebbe dire che attraverso le figlie studentesse il professor De Santis ha la simpatia delle loro mamme.”
   Gli parve di vedere un cancello semiaperto, ma mezzo sepolto da selvaggia vegetazione. Pensava: ‘Magari fosse lei a raccontarmi com’è Milena in casa.’
   La signora, adesso più calma, cominciava a dire che non le era mai capitato di vedere la figlia studiare così tanto, soprattutto di osservare sul suo tavolo quaderni pieni di appunti ordinati, di schemi, segno che in classe ci stava  anche con la testa ormai.
   ‘Figuriamoci’ riuscì a pensare De Santis ancora incerto sullo sciogliersi del suo terrore, ‘per raccontare veramente Milena dovrei raccontare me stesso; e raccontarmi sarebbe come confessare tutte le mie ostinazioni e debolezze presenti e passate. Eppure questa madre è nel suo pieno diritto di sapere, di essere accontentata, intrattenuta. Non è mio dovere di corrispondere alle sue aspettative?’
   «Nello scrutinio del trimestre non ci siamo soffermati a discutere le proposte per sua figlia. I voti sono tutti suoi. Per ciò che mi compete posso dire che ho registrato una accelerazione nell’interesse e nell’impegno di tutti i ragazzi. Sa, tra l’età ormai matura e i programmi in quinta classe più interessanti…»
   Macché classe! La signora vuol sentire di sua figlia in un racconto circostanziato, sincero del docente di lettere che ha avuto un miglior modo di conoscerla rispetto ai colleghi. A casa non le si raccomanda più che studi con impegno. Da alcuni mesi esce con le amiche solo al sabato pomeriggio e qualche volta di domenica, perché ha tanto da preparare per il lunedì.
(Quarta uscita)
   ‘Se continua così’ pensò De Santis ‘me la cavo con il frasario più frusto e arriveremo al santo Natale.’ Anche lui vedeva che la ragazza stava cambiando; era diversa rispetto agli anni precedenti. Già dalla quarta era seduta sempre al primo banco e non gli staccava gli occhi di dosso. Avrebbe voluto raccontare alla madre delle poesie lette, dei film visti, delle figure di donna su cui l’interprete aveva ricamato alla grande. Ma perché descriverle la figlia con i lacrimoni davanti a certe sequenze della Grande guerra di Monicelli, di Senso di Visconti? Avrebbe voluto raccontare di Milena, ma, ammesso di poter parlare fino a notte, sarebbe stato un discorso falso, dietro un paravento, su cui la signora non l’avrebbe seguito. Sicuramente aveva largheggiato nei voti di italiano e storia, benevolo nelle domande orali. Era un credito senza garanzia, senza patti, e l’allieva derivando autostima si era impegnata anche nelle materie professionali dandosi coraggio e una calmata emotiva.
   «Sento che al telefono parlano spesso di lei e dei suoi argomenti di lezione. Le insufficienze, delle quali a mia figlia sembrava non importasse nulla in passato, ora sono un rischio da evitare, una brutta figura che non può permettersi più. E se fosse una piccola fiamma passeggera? Insomma, per dirla come parlano le mamme, Milena, mai come adesso, mi riempie la casa.»
   Riempiva anche l’aula; era vero, purtroppo. De Santis decise di accertarsi che nella madre casalinga e operaia non si nascondesse una fine arte diplomatica. «Sono grandi ormai, signora. Non vorranno sfigurare con i loro ragazzi.»
   «Mai avuto un moroso mia figlia; lei non mi nasconde nulla. Sì, telefonate dai compagni di classe ne riceve; ammiratori li ha che passano sotto casa facendo rombare il motorino.»
   «A volte per motivi che sfuggono a osservatori esterni capita che un giovane si dedichi completamente allo studio a compensazione d’un sentimento complesso e difficile…» Accorgendosi che stava per scappargli di dire qualcosa di grave e inquietante, e peggio ancora inducente al sospetto, deviò subito su un ricordo personale. «Quando io ero studente universitario, ho finito con l’isolarmi nello studio a causa di una strana passione d’amore.» 
   «Chi non è strano a quell’età, professore. Stranezza e senno si mescolano nei discorsi di Milena in casa. Adesso è tutta col pensiero ai risultati della maturità. Non aggredisce e non fa più la musona. Ha una nuova amica di classe, la Zanetti che ormai viene a casa nostra regolarmente. Mia figlia non vuole sfigurare davanti a lei.»
   Le cose più strane, più pazze si ricompongono nel dialogo tra due amiche.
   La signora si era voltata indietro per controllare se sulla porta ci fosse qualche altro genitore in attesa; ma visto che non c’era nessuno si era risistemata sulla sedia come a dire: "Raccontami tutto." Infatti continuava: «Ma lei come le vede in classe? Non vorrei illudermi. Sa, io ho un diploma di istituto professionale. Ma è una crisi pazzesca dappertutto. Sarebbe un sogno evitare a mia figlia le frustrazioni e le umiliazioni che ho dovuto sopportare nei miei anni migliori. La scuola per me è stata una esperienza di vuoto. Scusi se mi permetto di confessarlo. Di nessun professore mi sono mai invaghita o che mai uno di loro abbia avuto attenzioni per me.»
   De Santis sapeva di non poter aggiungere nulla sui cambiamenti di Milena osservati in casa. Gli veniva voglia di dire: “Ogni cosa è al suo posto, signora; i poeti e i narratori stanno lì, i registi pure, i fatti storici se li può leggere sui libri anche lei. Per gli accadimenti del giorno, in classe, nell’istituto, in città e nel mondo ognuno liberamente può scegliere ciò che vuole commentare a voce o scrivendo. Si può scegliere un amico. Si può scegliere l’indifferenza al posto della passione. Nulla si sceglie nel recinto della felicità, dell’amore ricambiato da dove si traggono risorse incredibili, fantasie rivoluzionarie.”
   Il fatto è appunto, continua a spiegare la madre, che i risultati sulla pagella giungono come un gran regalo di Natale alla famiglia. In casa sembra aleggi un sogno, che Milena possa continuare gli studi all’università. Ma la ragazza ha paura a parlarne esplicitamente, non vuole forse illudere perché sa che con le risorse della famiglia, con la disoccupazione intellettuale giovanile non si arriva tanto lontano. E tuttavia la si sente animata da una volontà di riuscire, di farcela.
   «Qualche volta mia figlia legge a letto prima di dormire. Spesso devo levarle il libro che l’è caduto sul viso, e spegnere  la luce.»
   A questa ultima immagine che disordinava tutto nella sua mente De Santis avrebbe raccontato di quando i passi di lei andavano nei corridoi di scuola e di quando venivano… e del sorriso che avvampava e del suo crollar di spalle, come l’Esterina di Montale, la fanciulla sicura di sé, avvolta in una grigiorosea nube e per nulla preoccupata delle insidie della giovinezza. Il poeta la rassicura che un giorno l’amore verrà.
   La Maestri sembra ormai rassegnata al fatto che il professore non voglia o non riesca a raccontarle la figlia. «Con noi in casa e con le amiche al telefono adesso non parla che del viaggio che farete in Salento la prima settimana di marzo. Lei è di là, professore, vero? Mi hanno detto dello scambio con una classe di laggiù e che a maggio i pugliesi verranno a Verona.»
   Nella calma sorridente della madre traspare ormai la convinzione della impossibilità di sapere di più. Se a lei riempie la casa, sarebbe incredibile che fosse l'unica a riempire con la sua gaiezza una intera scuola. Hanno il silenzio dello sbocciare dei fiori e il rumore del tuono i modi in cui Milena comincia a conoscere e a sfidare gli uomini.
   La signora doveva aver perso il senso del tempo e De Santis alla fine ebbe il coraggio di fare un gesto di preavviso che il colloquio giungeva al suo naturale termine.
   ‘Non c’è niente, non ho fatto niente di scorretto’ pensò alcuni minuti più tardi, mentre si avviavano per i corridoi deserti all’uscita scambiandosi le ultime battute.
   Quella madre vedeva una possibilità nuova per il futuro della figlia e incredula voleva individuare la causa, la fonte, l’artefice. Tutto tornava tranquillo. Il professore tuttavia adesso sentiva il vuoto delle occasioni e della solitudine.
   
3 Campi

Mancava qualche ora al calar del sole. De Santis era sospeso tra l’ansia di ritornare all’agriturismo Ginestra e la voglia di allungare il giro in auto con il compagno di liceo e collega Cesare Capani. Non rivedeva l’amico dall’estate anche se si erano sentiti tante volte al telefono per accordi sul programma dello scambio. Si concedevano qualche ora di libertà immersi nel paesaggio campestre in un diluvio di chiacchiere. Tutto intorno brillava il quadro d’altro diluvio, quello sceso dal cielo di mezzogiorno a lustrare con accanimento piante, erbe, sassi. 
   Percorrevano la provinciale che dal loro paese natio conduceva alla masseria albergo dove i veronesi, quindici ragazze, sei ragazzi e due professoresse, si godevano mezza giornata di riposo dopo il lungo viaggio in pullman del giorno precedente e le prime ore notturne di agitata allegria. In mattinata avevano visitato Gallipoli, dove erano stati raggiunti dalla classe salentina.
   Interminabili uliveti fiancheggiavano la strada sotto dense masse di nuvole che dal cielo ormai scuro di levante passavano a disgregarsi in bagliori purpurei sopra un sole basso che inseguiva tra rami e fronde. La pioggia violenta e ostinata aveva formato tra asfalto e banchine erbose grandi lastre d’acqua lente a defluire verso terreni ancor peggio inondati, avendo come ostacolo anche la lunga teoria dei muretti a secco. Alti spruzzi contro i vetri dell’auto erano inevitabili, specie incrociando altri veicoli, quasi esplosioni di contentezza dei due amici di nuovo insieme dopo tanto tempo. Un segnale noto li fece svoltare per stradine secondarie non asfaltate, dove più volte invertirono la marcia davanti a pozze d’acqua non superabili, cercando altri passaggi. Erano impegnati nel giro rituale per rivedere i luoghi del vagabondaggio con le biciclette e per raggiungere i campi dove nell’adolescenza avevano lavorato aiutando i genitori.  
   Su quel paesaggio ancora salvo dalla modernità la violenza recente del temporale si mostrava in tinte variegate: allagamenti da un lato all’altro delle viottole da passarci meglio con un mezzo anfibio, rami spezzati, pale di fichidindia abbattute sulle siepi di rovo e di mirto, sul fango, sull’erba, rovesciate su sontuose piante di scilla o su sfortunati lentischi. Dai laghetti formatisi sotto gli ulivi o tra le vigne spoglie arrivavano a ferire gli occhi gli ultimi striscianti lampi di sole. Di tanto in tanto i due amici abbassavano i finestrini per sentire i profumi dell’inverno mediterraneo.
   Luigi si trovava in uno stato d’animo di pace, di felicità segreta come fosse l’ora d’una promessa che sta per essere mantenuta. Era lì, venuto dalla grande città con un gruppo di persone in lui fiduciose, con lui affettuose. Pregustava la serata di festa con le due classi alla Ginestra con l'incontro di professori che avrebbero gareggiato a raccontarsi eroiche avventure del comune collega e amico. Non da escludere richieste a Milena e compagni per i ritocchi del quadro.
   Cesare, mentre guida l’auto ad andatura ridottissima sperando che non si blocchi nel fango degli acquitrini, parla del suo lavoro e dei suoi impegni. Anche lui insegna lettere in un istituto tecnico ed ha proposto all’amico l’incontro delle loro classi. Un’idea che ha avuto anche in qualità di assessore alla cultura del loro paese. Luigi a sua volta racconta del lungo viaggio, del ritardo nell’arrivo e della corsa nelle camere dopo una frettolosa cena. È contento degli alloggi: grandi stanze a tre o quattro letti per gli studenti, una confortevole per le due colleghe, una piccola tutta per sé. La villa è immersa nel verde. Gli ha detto Milena che al mattino, aprendo la finestra, è stata salutata da una palma svettante nell’azzurro.
   Tra chiacchiere ininterrotte riesce a pensare al Cesare studente del ginnasio e liceo. Sempre in sordo contrasto con gli insegnanti di lettere, di filosofia e di religione col risultato che il suo profitto veniva ufficializzato su una pagella cosparsa di misere sufficienze. Le sue critiche intelligenti, volte con aria solitamente remissiva, venivano poco considerate. Finiva col lasciarsi vivere da solitario. Non era fisso nel gruppo di compagni vagabondi perché preferiva non allontanarsi per troppo tempo dalla campagna dove abitava con la famiglia, asserendo di aver tanto da studiare o da aiutare. Se veniva in paese la sera in motorino, era in prevalenza per lo scambio di compiti: i suoi esercizi di matematica contro versioni di latino e greco. Nella fredda soluzione logica di un problema ci vedeva l’intero, considerando invece ogni traduzione mortificata dal suo essere arido frammento sottratto all’unità del testo storico o narrativo. Da lui comunque si andava a cercare spazi aperti per giocare a pallone. Negli anni dell’università aveva incontrato Lucia, anche lei futura insegnante di lettere, che col matrimonio gli avrebbe dato due figli destinati ad essere sempre i primi della classe. Intanto appassionatosi all'azione politica era stato organizzatore, cronista per gli affari locali e all’occasione uomo di comizi in piazza, ascoltato anche da avversari che si trovassero a passare nelle vicinanze. Il suo intento era di far rivivere l’attività della sezione di partito che era stata distrutta dalla civiltà televisiva. Il suo pensiero era chiaro: non la professione del militante doveva imporsi sugli organismi del partito per il conseguimento di un potere personale, ma l'idea politica avrebbe caratterizzato la sua professione quale che fosse. E ciò, una volta stabiliti i valori della laicità, del lavoro onesto, del giusto rapporto nella responsabilità tra principio di libertà e principio di uguaglianza. Non erano tollerati gli ipocriti, i corrotti, gli aggressivi nella parola e i supponenti.

    Contemplando l’ampia distesa di chiesure percorrono lentamente le vie campestri cercando di passare dove il terreno è più solido. Era quella un’area di alcune centinaia di ettari che, confinando con due altri comuni, si era miracolosamente salvata dalle ingiurie degli uomini. Tanti piccoli fondi non più estesi di tre quarti di ettaro conservavano quasi intatto il loro trullo, il pajaru, rifugio d’inverno per i contadini e normale dimora d’estate. Di pietra grigia a secco e a doppio tronco di cono, dall’aria sempre imbronciata. A pochi sarebbe venuto in mente che quel piccolo territorio meritava di conservarsi come zona parco e ragionevolmente sarebbe stato necessario proteggerlo. Era una medicina dello spirito in tutte le stagioni aggirarvisi a piedi o in bicicletta. Poche auto lo percorrevano, quelle dei proprietari dei piccoli appezzamenti a uliveto dove, come si sa, il coltivatore è presente non molti giorni all’anno. Non si vedevano ancora ville fasciate da alte siepi di cipresso o peggio da muri in materiale cementizio. Cesare con rammarico confida i suoi dubbi sull’opportunità di una aperta campagna di sensibilizzazione per la creazione di un’area protetta, progetto che potrebbe sortire effetti contrari alle intenzioni. Ciò che vedevano intorno era solo il risultato dell’amore contadino per quelle terre rosso brune che nella stagione delle piogge si coprivano di uno smagliante tappeto verde con fiori gialli su cui in larghe file ordinate gli ulivi si inargentavano al vento. 
(Quinta uscita)
«Questo definiamolo parco storico.» Così parla l’amico. «Non è solo la natura lasciata a costruire i suoi meravigliosi monumenti. Qui c’è il lavoro umano di secoli, che ha piantato gli alberi, li ha curati, ha alzato muretti e dimore di pietra. Una paziente cura della terra sta per estinguersi pericolosamente.»
   Hanno raggiunto il piccolo fondo che già dalla ruggine del cancello aperto appare in stato di abbandono. È la piccola proprietà avuta da De Santis in eredità dal padre. La madre, molto malata, ormai vive stabilmente a nord, a Parma con la figlia, unica sorella del professore. Lui ha venduto a un cugino quel pezzo di terra per potervi accedere liberamente le volte che torna a sud. Pini, aranci e un albero di limone costeggiano il vialetto d’erba e ghiaia dove hanno fermato l’auto. I due bucolici muovono qualche passo sul terreno senza fanghiglia. A non molti metri c’è una casupola di pietra dalle poche superstiti malte annerite e dal tettuccio di coppi incurvato su canne e paletti prossimi a cedere. Ci sono malve ed erbe alte davanti alla porta malchiusa. Sul focolare esterno è precipitato mezzo comignolo, mentre abbarbicata sul muro laterale sinistro una cedrina riposa abbracciata a un biancospino; entrambi sono protetti dai fitti tralci di una pergola franca di potature. Più in là sta la cisterna con la copertura rialzata rispetto al livello del terreno. A fianco una pila. Ancora più indietro le trame spinose del melograno e un vecchio fico che scarica il suo groviglio di rami sull’aia rotonda. Sulle sue lastre di pietra si battevano cereali e legumi, e si ballava all’occasione, e su quelle restano abbandonati i coriacei gerani in vasi di coccio e di latta. Remoto ormai il tempo dell’uso, piante di ficodindia la cingono in parte con pale collassate per l’incuria antica e la furia d’acqua e di vento. Cesare con in mano un cestino fatto a intrecci di polloni d’ulivo e canne cerca di raggiungere qualcuna delle supersiti arance facendosi largo tra le erbe bagnate e tentando il terreno molle, a tratti eclissandosi. Luigi nell’isolamento rotto di tanto in tanto da qualche pittoresca imprecazione dell’amico è stordito dalla vastità di pace e d’ombre, dall’umidità colma di essenze, dalla caduta obliqua dei raggi solari su alberi, erbe e terra, dai versi di passeri e frulli d’ali. Uno stupore razionalmente non controllabile lo invade. Si guarda intorno sapendo che qui è impossibile giungere in passeggiata con i suoi ragazzi. Ma quel paesaggio ha una voce che preannuncia una festa che avverrà tra qualche ora in una vecchia masseria immersa in questa stessa pace. Sa che per una settimana smetterà con il ruolo che tiene legati ai banchi Milena e i suoi compagni. Solitudine e folla verranno a incontrarsi tra poco. Per lui c'è il sostegno del più caro amico, immagine riflessa, Cesare, che adesso si riavvicina, scarpe infangate e pantaloni schizzati. Il silenzio è rotto dagli squilli del cellulare. Lui preme l’ok.
   «Sono Milena.»
   «Milena?»
   «Non riconosce più la mia voce, profe? Quale altra Milena lei si aspettava che la chiamasse?»
   «Sono in giro col professor Capani. Ho detto il tuo nome così sa con chi sto parlando.»
   «Sono la ragazza con la quale lui ha chiacchierato questa mattina a Gallipoli.»
   «Giusto, ti manda un saluto. Dimmi allora. Problemi? Ti hanno eletta portavoce?»
   La risposta tarda qualche istante come se lei fosse pentita della chiamata. «Ecco. Avremmo bisogno di lei che ci traducesse dal dialetto. Stiamo ascoltando un cd di pizzica che abbiamo comprato stamattina. Ha in mente di tenersi lontano a lungo?»
   Sullo sfondo va una voce con orchestrazione di tamburelli, fisarmonica, violino e chitarra. De Santis sa che le parole sono piuttosto audaci, ma appropriate ad una festa aliena da emozioni petrarchesche.
   «È una musica di corteggiamento. Meglio se vai con la fantasia. Alle parole, proprio perché già ascoltate infinite volte, poco ci badavano le ballerine ed anche le loro mamme, attente a ben altro.»
   «Ho capito tutto, profe. Comunque l’aspettiamo.»
   «A presto. Ciao.»   
   Luigi chiude. Su quel piccolo apparecchio si è portato il messaggio di Capodanno non ancora cancellato: Auguri di Buon Anno. Baci. Milena. Digitato su ispirazione d’un gruppo in vena di scherzi? Non nei primi minuti dopo la mezzanotte, ma alle nove del mattino. Lui ha risposto: Cieli mediterranei.
   «Inequivocabile» commenta Cesare. «L'avevo già sospettato stamattina che è la tua diletta tra le allieve. Perché non l’hai trattenuta a descriverle dove ti trovi? Peccato che non si arrivi qui col pullman. Potreste però venirci da soli in bicicletta così puoi intenerirla a raccontarle di te bambino nel tuo piccolo paradiso.»
    «Sorprendente» ironizza Luigi.
    «Mi pareva che fosse contenta di aggirarsi nei luoghi d’origine del suo mitico insegnante.»
   «Sensazioni passeggere: Non distogliamola dalle sue consuete fonti di curiosità.»
   I due amici vanno a sedersi sul bordo della cisterna, sedile e salotto d’un tempo. Il sole attraverso l’ultimo varco tra le nuvole accende tronchi e basso fogliame. Qualche superstite arancia si illumina sospesa su una pozza d’acqua. Cesare parla.
   «Raccontami. Ti è mai venuto in mente di conquistare la ragazza leggendo in classe l’Egmont di Goethe? Grandioso. Con l’accompagnamento delle musiche di Beethoven. Ovviamente. Come sarebbe diverso da questo clima bucolico il paesaggio di passione romantica e di guerra di liberazione!»
   «Cosa vuoi, io sto sempre in mezzo tra guerra e passione. Tu ci faresti con la Rivoluzione d'Ottobre e l’incrociatore Aurora?»
   Cesare allargando le braccia: «Tu saresti irresistibile chiedendo a Milena di leggere il monologo di Molly Bloom. Ricordi le parole? Mi chiese se lo volevo, sì, dire sì, mio fior di montagna, e per prima cosa gli misi le braccia intorno, sì, e me lo tirai tutto addosso in modo che potesse sentire il petto tutto profumato…»
   «…e il cuore mi batteva impazzito
   Sapevano a memoria il finale dell'Ulisse di Joyce.
   «E sì, dissi, voglio. Sì.»
   Scuriva il cielo e diradavano le voci dei passeri, dei fringuelli e dell’allodola. Ripresero a girovagare in auto. Proseguirono sulle campestri con andatura lenta, per poter guardare oltre i muretti, qua e là sepolti da mirti, filliree, rovi, a volte fermandosi per valutare la profondità delle scure pozzanghere o ancora per invertire la direzione. Ai terreni fitti di ulivi con le sparse grigie sagome dei paiari succedevano campi a colture miste. Anche dopo avere acceso i fari tennero i finestrini abbassati per lanciare uno sguardo ai corpi materiali e vegetali che venivano abbracciati dalla notte.
   Ci si prefigurava intanto la serata alla masseria Ginestra dove sarebbero arrivati in pochi minuti una volta raggiunta la provinciale.
   «Sono simpatiche le tue colleghe. Devi avvertirmi se ti hanno seguito con secondi fini e se è il caso di darti una mano.»
   «Ma dai, Cesare. Per me è anno sabbatico in fatto di compagnie femminili.»
   «Da quel che ho captato prima dalla telefonata capisco l'interruzione.» Nonostante lo sguardo ironico dell'amico non cambiò discorso. «Mi piace la tua classe., più interessanti, ovvio, le studentesse. Le ho viste curiose e attente stamattina. Abituate ad ascoltare il maestro. Sono gentili e vivaci. Come insegnante hai saputo metterti in gioco con regole facilmente accettate.»
   «Anche tu maestro e vate» provò Luigi.
   «Infatti avrai pur notato che erano le ragazze a starmi sempre strette intorno. E poi quella Milena è proprio splendida, bionda di capelli e occhi verdi. Nel farla il buon Dio le ha disegnato con impegno la grazia delle linee del viso, gli occhi, le sopracciglia. Rimane come impuntata, tesa per ascoltarti e pensare la risposta.»
   «Se è impuntata immobile statuaria ad ascoltarti vuol dire che hai colpito anche tu.»
   «Immagino che quando la interroghi si accosta e si china sulla cattedra perché tu non sia distratto da altro e sia quindi più obiettivo nel giudizio. È brava?»
   «Da scolara qualcosa non ha funzionato nella costruzione della sua autostima. A diciotto anni siamo alla chiara contraddizione tra il vecchio e il nuovo.»
   «E su quella fonte nuova c’è tanto da distinguere tra l’interesse per gli argomenti di studio e l’interesse per il suo nume…»
   Luigi sarebbe sceso dall’auto per continuare da solo a piedi tra le ombre che lo avrebbero spaventato meno delle parole dell’amico. Sentì dentro di sé come uno strappo al pensiero che stava per ritrovarsi con lei. Gli restava fisso in mente quel giorno, nella primavera precedente, quando durante la lezione si era reso conto che Milena dal primo banco, trascurando di prendere appunti, lo stava fissando oltre il necessario. Quell’oltre già veramente accadeva, ma lui non avrebbe saputo dire da quando. Sensazione non nuova nella sua esperienza. Alle fascinazioni era abituato non inquietandosi più di tanto. Né per quella allieva in un primo momento si era fermato a ipotizzare quando l’attenzione oltre necessità avrebbe avuto fine. Erano però ingigantiti i suoi entusiasmi per la classe che, come dicevano i colleghi, aveva accelerato la corsa mostrandosi tra le più interessate allo studio.
   Emozione fragile fatta affiorare dai fantasmi che i fari dell’auto sorprendevano nel crepuscolo della sera di marzo. Non erano lì i campi, le piccole dimore in pietra, i percorsi in terra battuta dove lui, all’età che aveva ora la ragazza, aveva trascorso le ore per costruire possenti immaginazioni e subito disperderle? Lì nel vagare a piedi o in bicicletta gli si era fatta compagna la figura della promessa, una promessa femminile di fedeltà, di attaccamento. Un sogno con suggestioni da racconti, da film. Fantasie su baci ancora sconosciuti, su fisicità da scoprire. Ali alla fantasia date dal lindore di un vestito, dalla dolcezza di un viso, dall'ornamento di una capigliatura; dalle allegre compagnie in passeggiata negli accesi colori della campagna estiva, sul far della sera.
   Se le sue erano solo voci del passato, Luigi sentiva di poter essere indulgente con se stesso per quell’ansia, nascosta al più caro amico, di raggiungere finalmente la masseria Ginestra.
(Sesta uscita)
4 Ginestra

I due amici dopo l’ultimo tratto sulla provinciale svoltarono su una strada che portava verso il mare, quindi furono attenti a non superare il cartello con l’indicazione della Ginestra. Percorsero un tortuoso sterrato di tufo e ghiaia mezzo sommerso da pozze d’acqua alla fine del quale fu visibile il varco d’ingresso ombreggiato da maestosi pini. Vecchio impianto fortificato dei tempi del pericolo saraceno, la masseria aveva funzionato per secoli come taverna e stazione di riposo per viaggiatori sull’itinerario Taranto-Leuca. Trasformata nell’Ottocento in signorile dimora estiva, con le recenti ristrutturazioni era adibita ad alloggio turistico. Non era la sola residenza da sempre nascosta agli sguardi indiscreti, a giudicare dal susseguirsi di cancelli pretenziosi tra le muraglie di pietra su cui piegavano imponenti protezioni boschive. La strada finiva con il diramarsi in strette e solitarie viottole per solo transito agricolo, con le tracce ancora visibili degli antichi passaggi di veicoli a trazione animale.
   Si inoltrarono sotto una tortuosa galleria formata da siepi di bosso e pittosporo e da rami d’alte piante fino ad uno slargo dove si sarebbero separati. Cesare ripartiva per il paese. Sarebbe stato di ritorno conducendo in pullman la sua classe quinta e il collega di matematica. Luigi rimasto solo si trattenne ad ammirare alla luce dei lampioni l’imponenza della facciata con le cinque grandi finestre del piano superiore dai balconi non molto sporgenti il cui decoro complessivo era nella potenza delle dimensioni e nella semplice linearità. Si spostò verso destra dove si scopriva l’intera mole della torre preesistente al successivo sviluppo della costruzione. La sera prima tra stanchezza e urgenza delle sistemazioni aveva osservato il tutto distrattamente. Dall’interno del pianoterra gli giungeva un vociare insieme con note di fisarmonica.
   Dall’androne a quattro campate che attraverso grandi finestre faceva intravedere un ampio cortile chiuso da alberi maestosi, Luigi passò in un locale adibito a mensa e a soggiorno. Qui c’erano solo i maschi della sua classe nell’angolo delle poltroncine, chi stravaccato, chi in piedi ad assediare il fisarmonicista, il Corrado, l'accompagnatore di festosi canti durante il viaggio. Voci e note salivano verso le volte a crociera della pietra riportata con la pulitura al suo originario colore. «E le ragazze?» chiese De Santis. «Sono tutte su a farsi belle per noi» gli fu risposto. «Anche per lei, profe» aggiunse un malizioso. E lui a deviare: «Ecco perché il vostro compagno non riesce a concentrarsi.» Corrado si giustificò stancamente: «Ho ancora nelle orecchie i ritmi della pizzica.» Scusa debole per essere accettata. «Lui dorme ancora, profe. Ha chiacchierato tutta la notte e adesso crolla sullo strumento.» E il malizioso ancora: «E pensare che le donne si aspettano proprio quella musica per la loro apparizione in mezzo a noi.» Altra voce: «Non aspettatevi incantevoli visioni. Sono insonnolite e sfatte.»
   Luigi lasciò i ragazzi e salì in camera per prepararsi ma anche per concedersi qualche minuto di riposo.

   Perché ridono di là? Avrebbe voluto sapere, ma rassegnato al pensiero che lui stesso era il mito che le ragazze stavano imparando a decodificare, a smontare. Mito spesso costruito col tradimento. "Vaga stella dell’Orsa, io non credea tornare ancor per uso a contemplarti…"  recitato per far sorridere Milena irrigidita e impacciata durante l’interrogazione. Così aveva sempre consapevolmente forzato il suo ruolo all’interno del progetto formativo, convinto tuttavia che le pagine della grande letteratura da lui lette in classe avevano accompagnato l’appassionato risveglio dell'allieva.
   Perché non la smettono col ridere? Non da escludersi che un così lungo tempo di allegria potesse essere impegnato a spettegolare su una sola persona, magari sul loro insegnante di lettere. Si divertivano forse ad accoppiarlo con qualche strana figura di donna, ad associargli con la fantasia delle bellocce viziate, delle bambole logorroiche, delle lussuriose infedeli. E tuttavia De Santis, pur ritracciando di sé il quadro di uomo non ridicolo, voleva illudersi che quelle voci festose parlando di lui fossero mosse dalla forza del desiderio, quella forza incontenibile che strappa il disegno costruito con le compagne per rifarlo da sé in segreto.
  Perché ridevano di là? Le mezze frasi percepite nella stanza accanto assegnata a Milena e ad altre due compagne non erano sufficienti a costruire un senso. Non voleva fosse così? Aveva spento tutte le lampade per guardare attraverso i vetri della porta finestra. La luce d’un lampione calava sulle chiome del grande eucalipto e sullo spiazzo ghiaioso. Il muro che lo divideva dalle voci amiche era soltanto una protezione discreta, provvisoria, parendogli crollate le difese della memoria. Nella felicità dell'ora presente la camera gli si confondeva con quella del suo vecchio collegio universitario. Pile di libri tornati ad aprirsi sul tavolo. In una atmosfera conventuale, silenziosa, aveva per cinque anni ripensato, risposto alle mille voci del mondo esterno. Adesso era la sensazione della solitudine azzerata, dei muri crollati.
   Sentì che aprivano la porta accanto. Poi fu un bussare da lui. Corse a cercare l’interruttore della luce. Aprì illuminando Milena.
   Lei prima di parlare sorrise come per accertarsi che la forte impressione fosse arrivata a segno. «Eh salve, profe, scusi, saprebbe a che ora si scende a cena?»
    Come non fosse stata capace di andar giù e chiedere. Lei s’aspettava d’essere riconosciuta nel suo splendore rinnovato dal leggero trucco e dal vestitino rosso che lui vedeva per la prima volta. Giacca al braccio. I capelli tenuti alti da un nastro di velluto nero. D’argento erano gli orecchini a forma di piccole vele e il filo sottile intorno al collo. Le scarpe nere, lucide.
   «Vieni a chiedermelo così in tanta meraviglia per spaventarmi Milena?» Erano le parole che lei dimostrò come di averle attese. Lui dovette sovrapporre altre, fredde: «Dobbiamo aspettare Cesare con i suoi studenti. Se vuoi possiamo raggiungere gli altri giù in sala.» Aveva davanti a sé una donna diversa dalla ragazza della classe quinta e non era solo la novità dell'inebriante profumo. 
   «Aspetto la Giorgia e la Viviana che sono quasi pronte.»
   «Vi dispiace di avere la camera accanto alla mia? Niente chiassate fino a tarda notte?»
   «Non si preoccupi perché noi dormiamo. Se si sta sveglie, andremo a chiacchierare con le altre in una stanza lontana. Lei è contento della sua?»
   «Privilegiato. E se vuoi entra a controllare.» Indietreggiò di qualche passo. «Aspetta, devo prendere delle carte e la guida per gli accordi di domani.» Come dirle: entra se vuoi, chiudi dall’interno, vieni, stai con me ai tuoi modi, l’attesa è stata insopportabile. Arretrando parlava ad alta voce della Guida della Puglia che non si faceva trovare.
   Milena rimase sulla soglia.
   La porta della stanza accanto era rimasta aperta e Luigi varcando la sua inventò altre domande per impedire che lei tornasse dalle sue compagne. La ragazza non si muoveva, ma non mostrava neanche di volere avviarsi con lui.
   «Pensate che vi meriti questo sperduto posto del mondo?»
   «È molto bello qui.» Era una non risposta.
   «Non state correndo pericolo di noia?»
   «Scherza, profe; mentre lei era via ci siamo goduti la pioggia con lo spettacolo di tuoni e fulmini sulla campagna. Poi alcuni sono saliti in camera. I più siamo rimasti giù con due signori del personale che si divertivano a parlare in dialetto e ci hanno fatto ascoltare musiche e canzoni salentine.
   «E non vi hanno tradotto le parole.»
   «L’han fatto, ma ci sembrava che mentissero.»
   «Per quello mi hai telefonato.»
   In risposta solo uno sguardo di soavità innocente. Era davvero un’altra donna, liberata dalle paure, dalle timidezze connesse al clima di scuola.
   Luigi chiuse la porta come deciso a scendere. Erano nella grande sala d’accesso alle camere con due porte finestre aperte a occidente, sulla zona dove più folta era la vegetazione arborea. «Sei già venuta a guardare fuori da qui, Milena?»
   «Non da qui, ma dalla torre. Prima di pranzo son salita con Giorgia. Da lassù si scorge una lontana striscia di mare. Da avercela questa villa.»
   Lui deciso andò ad aprire una delle porte finestre e uscì sul balcone stretto dalla balaustra possente, luogo per proteggervi una Milena scossa dal freddo. La ragazza si era avvicinata ma sempre restando all’interno quasi temesse l’aria pungente.
   «Anche di qua è illuminato dai lampioni. Tra gli alberi si scopre un pezzo della vecchia strada con i segni dei carri sui sassi affioranti.»
   Lei lanciò una incerta occhiata, ma subito diede una voce a Giorgia perché si sbrigasse.
   ‘Quanti secondi devo contare’ pensò Luigi fissando il vasto scuro fogliame degli ulivi ‘perché lei si decida a seguirmi su questo balcone?’ La figura alle sue spalle la sentiva come respinta silenziosamente nel centro della sala. ‘Negami se vuoi questa aria di mezzo inverno e la campagna solitaria, ma non negarmi il tuo profumo e i tuoi baci.‘ Deluso di non averla con sé per qualche istante su quel luogo esterno e ristretto, ritornò in sala, chiudendo. Avvicinandosi a lei, sentì che nessuna massa d’aria avrebbe sopraffatto quel suo leggero ostinato profumo.
   La ragazza distolse lo sguardo verso un vecchio armadio con ante a vetri dov’erano conservati dei libri. A Luigi era proibito il silenzio: «Se qui fosse mio riempirei tutto di libri.»
   «Sarebbe bello» aggiunse lei distrattamente. E poi voltandosi e alzando la voce in direzione della sua camera: «Dai, Giorgia! Ha detto il profe di far presto.» Non era vero.

(Settima uscita)

   «Ci siamo, tranquilla» fu la risposta della compagna dall’interno.
   «Ci siamo, tranquilla» fu la risposta della compagna dall’interno.
   «Fatevi belle, ragazze!» disse forte lui. Poi sussurrando a Milena: «Con te non possono competere.»
   Grandi occhi di lei.
   Giorgia e l’altra compagna finalmente uscendo parvero volersi accertare che il professore notasse gli splendidi effetti del loro trucco. Ci avevano impiegato forse un bel po’ di tempo, ma adesso anche loro erano giunte in territorio di incantesimo. Milena, forse già in accordo con quelle, lanciò la richiesta di essere accompagnate dopo cena a ballare. «Un ballo non può negarcelo, profe. Ha senso una gita se non si va in discoteca?»
   «No che non ha senso.»
   «È risaputo che lei ha frequentato importanti scuole di latino americano.»
   «Di latino classico anche.»
   «È una promessa allora.»
   Lui vedendola felice tra le compagne amò la raggiunta completezza di quella femminilità che gli si rivolgeva. Avrebbe voluto dirle: fermati in questo attimo, fermati come sei. Tu non dovrai mai essere delusa da uomini che non sono riusciti a conoscere niente di te.
   ‘Ridevano anche di me’ ragionò mentre scendeva con loro le scale. Si sentiva addolcito da quella sottile complicità da vivere in una sola sera, in viaggio, senza complicazioni, senza competizione, senza sfide. O le sfide!

   Al piano terra altre ragazze, truccate ed eleganti, erano giunte. Milena, superato l’imbarazzo dell’essersi trovata sola con il professore, adesso si rivelò la più ardita di tutte, quasi fosse di casa in quel luogo, quasi ne fosse la padrona.
   «Lei parla ancora il dialetto, profe?»
   «Certo e ne vado orgoglioso. E qui se non altro per dovere.»
   «E com’è che non ne conserva l’accento?»
   «Eh, ma… »
   «Eh, ma. Perché non ci racconta nel suo dialetto una bella storia? Ci traduce quando non capiamo.»
   «Nel mio dialetto il tono trapasserebbe troppo presto dal dolce all’amaro.»
   Corrado era lì a due passi a intromettersi: «Le femmine non hanno il coraggio di dire che vogliono le storie dolci, anzi dolcissime prima e durante il banchetto e in previsione del ritiro degli amanti in talamo, alla fine.»
   Giorgia a sentir parlare di “femmine” e "talamo" ne fu irritata: «Profe, Corrado non è noioso soltanto nelle interrogazioni dove prende nove e dieci, annoia anche con queste osservazioni non richieste. A noi interesserebbe invece sapere come era lei da studente. Ecco ci racconti qualche storia del suo liceo e, se non ha niente, anche di università. In dialetto acquisterebbe vivacità anche a fronte del nostro sforzo di comprendere tutto.»
   Tra Corrado e Giorgia c’era una gara per chi prendeva voti più alti. Tra loro dovevano intercorrere altri sentimenti, tuttavia nessuno, compagno o insegnante, aveva prove a conferma.
   De Santis deve starci alle provocazioni. Si accomoda su un divano come a indicare che acconsente alle richieste. Subito il primo cerchio è fatto da ragazze. Milena e Giorgia si mettono di fronte su una bassa e robusta panchetta dopo avere accantonato riviste e depliant turistici. Lui contempla quella infilata di occhi angelici e armoniose sopracciglia che formano un rigo musicale come su un affresco di chiesa antica. Fanno cornice tutti i rimasti in piedi.
   «Questo luogo vi fa un effetto molto diverso dall’aula di scuola, mi pare.»
   Voci del coro: «È bellissimo questo posto. - L’aria di campagna ci risana. - Via, profe, cominci con una storia di liceo, dolce o amara che sia. - Purché in dialetto con pronuncia purissima.»
   Giorgia precisò: «Vogliamo una storia comunque inerente alla sua formazione culturale, profe.»
   «Curiosità da vera intellettuale la tua» commentò Corrado.
   «Tu sai corteggiare le ragazze solo nel dialettaccio della bassa veronese» fu la risposta della ragazza.
   E De Santis: «Mi costringete a ritornare su certi ricordi che ho voluto cancellare.»
   «Ma si sbrighi, profe!» insistettero gli altri.
   «La mia formazione ha il suo fondamento nell’esercizio di critica impietosa nei confronti dei miei professori. Ipotizzo che con voi succeda la stessa cosa.»
   «Succede, eccome. È inevitabile» conferma Giorgia suscitando l’ilarità generale. «Comunque se ciò che intende raccontarci è vero, lei non deve preoccuparsi dei nostri commenti. Noi donne saremo pietose.»
   De Santis attese che si calmassero le voci e intanto scelse il compromesso, il dolce-amaro, che poi è in definitiva lirico racconto. Tradì ovviamente la parlata salentina, senza che si levassero opposizioni.

   Lui e l’amico Cesare erano compagni di banco in prima liceo classico quando un giorno arrivò il preside a fare una supplenza. Un piccolo uomo sulla cinquantina con un viso bello ma mortificato nella struttura minuta anche se regolare di tutta la persona. Era soprannominato il nachirio, nel mondo greco colui che aveva il comando della nave e in Salento il capo operaio nel frantoio delle olive. Per gli studenti il preside che torchiava le loro giovinezze. Gli piaceva presentarsi in assenza dell’insegnante non tanto per controllare l’apprendimento, quanto per leggere poesie nelle lingue antiche e moderne. Stavolta prometteva la lettura del canto dantesco di Paolo e Francesca e già fioccavano dotte considerazioni sul peccato e sulla pena. Il disinteresse era generale. I ragazzi erano stufi di Dante e si stavano annoiando col Petrarca. Cesare considerava sottovoce con l'amico l’effetto della polvere di gesso sulle falde del cappelletto di feltro nero che l’omino utilizzava per sembrare più alto e che adesso distrattamente aveva posato sulla cattedra nell’angolo che il cancellino teneva sempre imbiancato. «Secondo te quelle falde di tipo strettino vi aderiscono proprio piatte sulla superficie?» Impossibile decidere. Quell’oggetto ridicolo stava lì apposta a raccogliere polvere che poi passava nel cervello di un uomo a stipendio delle muse. «Solleva la testa e vedrai meglio; non sono proprio piatte; hanno il bordo esterno rivolto in su, in su ma poco…» «Ma no, sono rivolte in giù. Non l’hai visto l’uomo come se lo tiene calcato in testa quando piove?»
   Il commentatore dantesco aveva cominciato a irritarsi del parlottio dei due. Aveva visto lo studente De Santis anche ridere, così a punizione lo aveva chiamato alla cattedra perché leggesse i versi dell’incontro del poeta con Francesca. Lui, obbediente, cominciò, ma rovinando con la tremenda inflessione dialettale la tragica storia dei due amanti. Nachirio lo fissava con la cupezza della nuvola temporalesca avanzante. A un certo punto il fulmine scoppiò svegliando anche l'ultimo degli addormentati. «Ma come mi pronunci il verso la bocca mi basciò tutto tremante? In quel basciò ci deve essere lo “scfiorentino, dolce come il sapore della bocca di lei e lento come l’invasione della paura, non secco e veloce come uno sciò alle galline. E poi se pronunci tremante col "thr" della parlata dei nostri villici trasformi una storia di palazzo nell'abboccamento in un trullo e dimostri di non aver compreso l'emozione della scoperta dell'amore ricambiato.» E aggiunse rimandandolo al posto: «Sempre che un giorno la dea Venere voglia compiacersi con te.»
   «Sa, profe, non è che lei adesso legga meglio» commentò Giorgia, facendo ridere anche i perplessi su un episodio della formazione del loro professore. E Milena incoraggiata dalla battuta dell'amica: «Sa, profe, qualche volta prima della sua ora di lezione abbiamo battuto ben bene il cancellino sull'angolo della cattedra per vedere poi come lei puliva con i fazzoletti di carta.»
   «Tu riprova e ti metto su seduta a spolverare con le gambe.»
   Lei, seduta alla panchetta, ben lasciava immaginare il tipo di operazione. Tutti guardarono quelle meravigliose gambe, tra gli "evviva!" e i "bravo!" al profe.

5 Nebbia

A te racconterò un'altra storia. A te, cara, che hai immaginato con le tue compagne baci tremanti e fuochi sul viso. Vorrei che questa sera in questo sud lontano non avesse ieri né domani, che mai finisse questo attendere in una camera accanto alla tua, da dove attraverso la parete sottile giungono scosci di risa. Sentire uscendo sul balcone volto alla silenziosa campagna la tua voce che ferisce i vetri illuminati.
   Avevo uno in più dei tuoi anni quando una sera nebbiosa di novembre mi trovai a trascinare due pesanti valigie in una strada della estrema periferia nord di Milano. Fidando nelle mie forze e ipotizzando una distanza breve dalla stazione ferroviaria non utilizzai il taxi. Quando ormai le soste brevi non bastavano più per farcela ad avanzare comparve la scritta indicante il collegio. Oltre il cancello di ferro avanzai su un vialetto che tagliava la cinta d'alberi ormai spogli. Su di me incombeva a sinistra una altissima costruzione, con la sua scheda disordinata di punti luminosi che saliva a sbiadire e ad annullarsi nella nebbia. Pochi scalini portavano a un passaggio verso l’ingresso sotto un andito che alla mia destra era aperto su una vasta aiuola rettangolare. Questa per altri due lati era circondata da una pensilina su pilastri con muretto di protezione. Era chiusa sul quarto lato dalla sezione più bassa dell'edificio di soli quattro piani con le sue righe di finestre pure irregolarmente illuminate. Mi infilai attraverso una doppia porta a vetri in un grande atrio la cui complessità spaziale per il momento mi sfuggì, teso com’ero a presentare le carte di ingresso al portiere custode, il quale mi assegnò subito il numero 118 di camera. Mi prese gentilmente una valigia. Per due rampe di scale arrivammo al primo piano del corpo basso. Dopo qualche passo su un lungo corridoio con la teoria dei suoi freddi neon fummo davanti alla porta. Mi consegnò la chiave dicendomi solo che l’orario di servizio mensa stava per scadere. Devo aver pensato con un filo di angoscia a una sorta di inizio in quel giro di chiave. La vista del letto già mi faceva chiudere gli occhi. Piccolo armadio, tavolo di studio verde collocato sotto i ripiani pensili per i libri, due sedie; tutto era lucido e lustro sotto la lampada centrale. Bagnetto interno. Sollevai la serranda e aprii la finestra. Più basso di un mezzo metro dal davanzale si stendeva di traverso un manto nero in cui erano inserite quattro file di mattoni in vetro cemento che lasciavano passare la luce di quelli che supposi essere i locali delle cucine. Oltre i tre metri circa di larghezza di questa corsia di lumi fiochi la copertura si sollevava in un’onda catramosa. Più in là ombre caliginose d’alberi spogli su sfondi d’alte costruzioni abitative. Chiusi la finestra. 
   Ero stato in dormiveglia la notte prima di partire, senza sonno la notte del viaggio; mattina e pomeriggio tra uffici e primo sguardo al centro città. Mangiai l’ultimo panino senza scendere in sala mensa. Al ritorno dalle docce dormii filato fino alle quattro del pomeriggio del giorno successivo.
   Nessuno disturbò il mio sonno. Ebbi prima dell’ora di cena tutto il tempo per orientarmi nella struttura interna ed esterna del collegio e chiedere le prime informazioni circa le disposizioni in questa mia nuova dimora. A parte gli spazi comuni la sezione alta di dodici piani era destinata ai maschi come pure il primo piano dove si trovava la mia camera. I tre piani superiori erano per le ragazze. Scale e ascensori, rigorosamente separati pena l’espulsione dal collegio in caso di violazioni, erano controllati giorno e notte dagli addetti alla portineria. L’atrio s’andava affollando di studenti e studentesse. Passai nella lunga sala di intrattenimento con i suoi salottini. Era una galleria che sul lato a vetri affacciava sull’aiuola con i cespugli nudi di rose e quindi su quel chiostro semiaperto per il passeggio dei nuovi chierici. Percorsa la galleria entrai nelle salette della televisione e dei giornali. Lento e intimidito mi decisi alla cena con un certo ritardo. Sospeso col vassoio in mano nella ricerca di un tavolo vuoto per non infastidire nessuno, fui raggiunto da una voce femminile.
   «Puoi sederti qui.»
   Al tavolo da quattro posti una graziosa dagli occhi grigio azzurri era impegnata con due tipi di bell'aspetto in un dialogo per il quale forse desiderava un testimone. A loro di me fu sufficiente sapere il nome del mio paese e che ero iscritto a filosofia. Dalle battute scambiate si capiva che a lei, montanara sopra quel ramo del lago di Como che volge a mezzanotte, solo da un paio di giorni nella grande casa dello studente, matricola di lettere moderne, veniva offerta protezione su vasto raggio anche perché da laureandi in medicina. Entrambi sicuri di entrare in specializzazione. Uno parlava anche di nozze prossime. Erano insomma la raffigurazione vivente del prodotto finito dell'università milanese. Della ragazza parlava la sua bella figura: profondità dello sguardo, capelli neri tenuti alti a coda a ondeggiare, coordinati i gesti, ma si mostrava come impaurita di dover sostenere una conversazione leggera, quasi caricaturale rispetto a un inizio colmo di incognite, a una nuova avventura di vita. Segno forse quell'aria di essersi vestita elegante, con leggero trucco e begli ornamenti, ma convinta di una sera da passare in uno stato di malinconia, in un luogo di estraneazione sì da affrettare il rientro in camera. Di imprevisto quel trovarsi accanto uno con l'aspetto trasandato e perso, con i segni, anche nella barba non rasata, di un lungo viaggio, pantaloni stinti e maglione sformato dall'uso.
   Luisa Danesi: il nome l’avrei saputo la mattina dopo, perché complice una timida inerzia nell’accodarmi al gruppo di collegiali l’avrei seguita sui mezzi pubblici fino alla Statale. E anche il numero di chiave della sua camera avrei letto mentre la consegnava al portiere, il 217. A riflettere il suo tavolo di studio stava di fronte al mio separato da un muro sottile, ma… più in alto di un piano. Negli anni rimanemmo così.
(Ottava uscita)
6 Convivio

Sulle lunghe ali della tavolata le due classi andavano mescolandosi con vari ripensamenti, mentre i cinque insegnanti seduti sul lato di congiunzione erano già ai primi assaggi e ai calici levati alti. Cesare sulla sinistra discorreva con Ilaria e un collega salentino messo al posto d'onore. Luigi all'altro estremo ascoltava distratto le osservazioni di Ida su certi loro studenti eternamente a intrigare anche in operazioni minime come nella destinazione dei posti. Non vedeva Milena che prima si era aggirata in sala a porsi centro d'attenzione dei maschi per poi sparire. La strategia: lasciarsi assediare, quindi sottrarsi e far dolere della sua assenza. Forse già decisa su chi premiare.
   Riconobbe le borsette appese alle spalliere delle due sedie ancora libere vicino a sé all'angolo.
   Non era possibile.
   Giunse con l'amica Giorgia.
   «Possiamo star qui o deve venire qualcuno?»
   Ida guardò le ragazze di traverso. «Brave. Avete scelto la compagnia all'uomo che fa promesse che poi non mantiene.»
   «Se è per questo» commentò Giorgia «tutta la scuola è così.»

    Le prime bottiglie di primitivo, i carciofi fritti, le crocchette di patate, la cicoria selvatica con il crespigno, il purè di fave fecero alzare in breve tempo il volume delle voci. Di quel passo presto si sarebbe arrivati al frastuono generale. Questo per l’esteriore. Tutti davano un segno solenne della contentezza e dell’appagamento derivanti dalla prospettiva delle prossime giornate di escursioni, di scoperte, di altri pranzi e cene.
   Le professoresse veronesi avevano l'aria di essere venute in viaggio solo per seguire il loro collega, con una differenza tra le due. Ida si divertiva a esternare anche in presenza degli alunni sollecitazioni di carattere sessuale nei confronti di Luigi. Non stesse l’uomo a dormire davanti alla disponibilità dichiarata. Con una certa imponenza fisica si univano in lei brillantezza di spirito e vivacità, doti che le occasioni conviviali mettevano in risalto. Ilaria fidava nella sua persona piacente, si limitava a rinforzare o a contestare le battute scherzose della collega, non prevedendo e forse non desiderando altro. Entrambe comunque erano sposate.
  Dopo che furono svuotati tutti i piatti della prima ondata, i commensali, in attesa della seconda, elevarono via via il tono di voce. Milena era voltata verso l’amica Giorgia, scoprendo necessariamente le gambe ben oltre le ginocchia, fatto teneramente osservabile dal posto di De Santis, non concentrato a portare avanti un discorso particolare, ma solo attento a intervenire quando fosse chiamato in causa. Improvvisamente Ida alzò un braccio per chiedere silenzio. «Udite gente, non vi pare che, trasportati dai divini sapori di questa mitica terra salentina, stiamo trascurando il nostro maschio mediterraneo?»
   I “sì” e i “no” furono gridati in confusione.
   «Non crediate che voglia spargere fumi di incenso sul nostro soggetto; anzi questo è il momento di chiarire con l’aiuto di tutti qualche mistero su di lui. Tanto per cominciare domando alle veronesi perché sono sempre pronte a obbedire ad ogni suo comando.»
   Giorgia si assunse il compito di rispondere: «Noi obbediamo semplicemente all'ordine di studiare.»
   «Nessun mistero. Sono studiose. Tutto qui.» Intervento tempestivo di De Santis, sogguardato dalle due ragazze sulla sua destra, in eloquente espressione solidale con lui.
   «Ma dai, ma dai» venne a dire Ilaria «diciamo la verità, siamo noi a dare l’esempio alle allieve corteggiando il nostro uomo e quindi a indurlo a promesse che poi dimentica.» E mentre lei lasciava intendere di occasioni sfumate con donne che però non erano lì a confermare o a smentire, il professor Cesare Capani cominciava a presentarlo nelle vesti dell’amabile distratto.
   «Vi racconto. Una volta lui in Grecia su una spiaggia solitaria dardeggiata da un sole abbacinante legge un libro, avendo creato con un cappellaccio a tese larghe una opportuna nicchia d’ombra. A un tratto, a meno d’un metro di distanza, una bagnante, completamente nuda, con un braccio teso è lì che aspetta avendo chiesto qualcosa in un inglese terribile all’orecchio del nostro, il quale, già isolato dal paesaggio circostante, finalmente leva gli occhi dalla bianca pagina, faticando a tenerli aperti sul candore abbagliante della ninfa. L’ultima cosa che inquadra è la sigaretta tenuta tra le dita e che lei vuole accendere. Avendo speso troppi secondi per convincersi di una immeritata offerta, sconcertato, nega di avere fiammiferi, perdendo così l’eccezionale occasione di appiccare altri incendi. Ecco l'uomo perso con le donne.»
   «Non è così perso,» affermò a voce alta Giorgia «anche se talvolta lo vediamo con la testa tra le nuvole.» Un "no" echeggiato fuori campo venne anche da Milena, che già eccitata dall’atmosfera conviviale bruciò con gli occhi il suo professore e continuò a fissarlo aspettando una difesa. Difesa che non venne. Che già Ilaria levava alto il bicchiere pieno. «Gloria agli adorabili distratti che rassicurano le maritate!»
   «La testa tra le nuvole è una caratteristica dei sognatori e dei malinconici» chiosò l'amico Cesare. «Il fascino sulle donne è conseguente.»
   Anche Ida sollevò il bicchiere, ma per contestare. «Il nostro eroe sarà stato realmente malinconico prima di apprendere l'arte di rassicurare pulzelle e maritate. Confermo la mia idea di un atteggiamento di studiata distrazione.»
   Ridevano tutti al tono strascicato delle sue parole e al continuo interrompersi per portare il bicchiere alle labbra.
  «L'avrei adorato il mio Luigi se l'avessi incontrato quando era un ragazzo povero e spaesato» continuò. Gli era incollata al fianco con la sedia e quasi a confermare gli mise un braccio sulle spalle. «Quel tratto dolce forse rimane quando si innamora.»
   «Bacio! bacio!» si urlò. E davanti alla sua ritrosia, «Profe, si lasci andare» lui udì chiaramente detto da Milena. Pensò che avrebbe spento la luce e il rumore del mondo per altri baci.
   «Adesso vi illumino io sul suo potere di fascinazione» riprese l'amico Cesare. «Era l’estate prima del nostro ultimo anno di liceo. Sulla strada di campagna dei suoi, qui in Salento, lui va bel bello in bicicletta e trasporta legata dietro sul portapacchi una cassetta di pomodori. È raggiunto per caso da due nostre compagne di classe anche loro in bici. Si affiancano per salutarlo. Diciamo salutarlo. Una che fa? Accosta al massimo e staccando la destra dal manubrio riesce a prendere un pomodoro bello grosso, poi rallenta per distanziarsi. Lo lancia quindi e quello sfiora l’orecchio sinistro di Luigi rotolando sull’asfalto. Lui lo schiva per un soffio accendendo simultaneamente un pensiero. La ruota anteriore della bici della lanciatrice lo prende in pieno. Il "porca puttana" è urlato infatti dalla ragazza. L'audace si è presa gli schizzi in mezzo alle gambe e sui pantaloncini bianchissimi. Ecco» concluse «come il vostro idolo era corteggiato dalle ragazze.»
   Giorgia non stava quasi nella sedia dal ridere. «Avessimo saputo la storia, avremmo ascoltato con altro animo certe lezioni.»
   «Per esempio?» le chiese Cesare.
   «Beh tutto il penultimo capitolo de Il Processo di Kafka. Sa, quando K è nella cattedrale buia e il prete parla di una legge che può condannare chiunque senza prove.»
   «Ho capito. Avreste desiderato che anche a De Santis qualcuno gli tagliasse la testa.»
   Tutti parvero rendersi conto che c’era una studentessa interessata ad aspetti comunque non superficiali del suo insegnante.
   «Che il nostro leggesse Kafka alle fanciulle non lo sapevo» disse Ilaria. «Io sapevo della sua passione per Il cavaliere inesistente di Italo Calvino.»
   E Ida: «Ah sì, cara Ilaria, non passa anno che il nostro fissato non faccia leggere quel libro nella classe quinta. Se rimane inesistente il cavaliere Agilulfo, è invece molto ingombrante il maschio professore mentre commenta il testo alle sue allieve.»
   Adesso i ragazzi veronesi prestarono più attenzione a queste battute tra le due professoresse. Nasceva il dubbio che a lezione non fosse stato spiegato tutto su quella storia.
  «Posso pensarlo inesistente l’uomo, Ida, ma con tutto ciò che serve al sogno dell’ideale e al deposito della memoria.»
   «Se a te piace immedesimarti nella castellana che si inebria per tutta una notte della conversazione con una armatura vuota, fai pure» rimbeccava la collega. «Ma le ancelle, cara mia, a pianterreno del castello, se la passano a rotolarsi a turno con l'aitante scudiero.»
   «Eppure quelle all’indomani non ricordano alcuna lussuria col giovane e invece chiedono alla padrona come è andata col cavaliere. “Oh Agilulfo!” si sentono rispondere. Come a dire: dipende da ciò che vi preme sapere, figliole!»
   «A chi vuoi darla ad intendere, cara Ilaria, che del giaciglio si perde subito la memoria? Il maschio con i suoi commenti si immedesima nel cavaliere inesistente solo per mettere ali alla immaginazione delle sue donne. Imprudenza a dir poco. Condanna!»
   «Condanna, condanna!» gridarono per allegria molti dei giovani commensali.
   «Assoluzione!» gridò Cesare. «Se lui ha letto queste pagine alla sue allieve, è per spiegare la diversità tra il tenere inteso come possesso e l’intrattenere inteso come corrispondenza di sentimenti e affetti. È la differenza tra il valore d’uso e il valore di scambio, tra il dominio e l’amore. E se non lo spiega lui a queste ragazze cos’è l’intrattenere senza tenere, chi accidenti d’altra persona lo può fare?»

   «Bravo! bravo!» gridarono con Ilaria gli innocentisti.

  (Queste le prime 26 pagine.   " CONTINUA .."  
 fino alla fine,   sono 159 pagine).

ATTENZIONE :
al termine della pubblicazione delle foto "Franciacorta" 
sposterò (archivierò) nella colonna di sinistra il testo :
in bacheca troverai, di volta in volta, solo l' ultima uscita.





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Per la Franciacorta, 22mo incontro,
attendo la tua iscrizione :  cosa aspetti ?  
A ferragosto va bene la birra
 ma
alla festa di ottobre
il quattordicesimo dì, ... tedeschi siam non :
Eugenio Pozzi
Gian Battista Giudici (P)
Mariella (P) e
Gian Marco Sabbadini, Master Chef (P)
Pietro Maddaluna (P)
Silvia Castagna e
Franco Andretta
Fabrizio Donazzi (P)
Mirella Zocchi (P)
Nino Bosco
Marisa Bellotti (C) e
Gian Franco Tantardini (P)
Marinella Mirinino (C) e
Paolo Pulina (P)
Giacomo Zerilli (P)
x  TOTALI  15
C= carne, P= pesce : vedi post del 3 maggio (menù), in fondo bacheca.
Altre INFO sul 22° :     post del 3 e 16 giugno







24 giugno 2018  . Di notte sognavamo ..
Di notte
ci sognavamo 
gli ombelichi 
delle Quadriche
(dalle Sinuose 
Curve)

Era estate, quella
del primo anno 
di Ingegneria. 
Preparavamo 
l' esame di Geometria.



Parliamo di 
qualche anno fa ..

Ora, che siam cresciuti e
ci prepariamo al 
ventiduesimo incontro
ci sogniamo una
bottiglia di Franciacorta
(pure da dividere in due ..)

TEMPORA 
MORES
__________
domenica 14 ottobre
v e n t i d u e s i m o
*
Ad ultimo, per curiosità et informazione di nostri amici
letterati ed umanisti tanti,  le  "genuine"  Sinuose Curve 
delle  Quadriche  or dette, 
accompagnate ai di loro curricula.     Clicca link a seguire :  
1

PDF]Geometria e costruzione. La teoria delle linee di ... - disegnarecon

https://disegnarecon.unibo.it/article/viewFile/3160/2555

2

16 giugno 2018  . Le Torbiere
A pochi kilometri da Corte Franca, un luogo da non perdere :
Perchè non scendi ? Perchè non ristai ?  
Fresca è la sera e a te noto il cammino. 
Ma si può anche far tutto in giornata, domenica 14 ottobre






giugno 2018 .  6 x P o C ?  
E' il momento delle scelte,  
o 6 CARNE o 6 PESCE.  Scegli-Imbusta-Manda.
E non solo Franciacorta,  ..  lago d' Iseo, torbiere, Monte Isola.
Per chi, venendo da lungi per aspri sentieri, voglia aggiungere 
sosta felice al gaudio magno.       I N DI M E N T I C A B I L E  ! 
 
Attendo la tua email.       L' indirizzo lo sai : 
pietro.maddaluna@gmail.com     




13 maggio 2018  .  Domenica 14 ottobre
+
 MENU PESCE  (P) 
  1-   Persico dorato, insalata e vinaigrette al lampone.
    2-   Risotto al Franciacorta, ragù di lago, polvere di alga.
3-   Filetto di trota arrosto su polenta morbida di Ortondo.
4-   Tortino di mele.
    +
      MENU CARNE  (C)
1-   Flan di verdura di stagione con fonduta di robiola
bresciana e speck croccante          
2-   Risotto mantecato all' estratto di barbabietola,
salsa al Parmigiano.
3-   Petto di faraona in crosta di frutta secca, crema
di melanzana e salsa di vin cotto
4-   Tortino di fichi e noci.
+
.. IL VINO 
è a scelta fra franciacorta bianco fermo,  rosso e  brut
(una bottiglia ogni due commensali)
+

5 maggio 2018  .  Pria
Scorri le foto del 21° tutte ora pubblicate. Pria, 
 per lo intanto, annota nell' agenda tua all'ottobre
    lo inderogabile prossimo AppuntaMento nostro
con  digià  in  lista  :
Eugenio Pozzi
Gian Battista Giudici (P)
Mariella (P) e
Gian Marco Sabbadini, Master Chef (P)
Pietro Maddaluna (P)
Silvia Castagna e
Franco Andretta
Fabrizio Donazzi (P)
Mirella Zocchi (P)
Nino Bosco
Marisa Bellotti (C) e
Gian Franco Tantardini (P)
Marinella Mirinino (C) e
Paolo Pulina (P)

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