CRONACHE
2.96
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(IGP in appatati/intrugli antimalocchio)
Sesto San Giovanni (Milano) – È stata chiusa la progettazione definitiva per il nuovo studentato di via Milanese, che nascerà al posto di una centrale Enel dismessa da anni. Nel giro di due anni, a confine con Milano, la struttura metterà a disposizione 500 posti letto per gli universitari fuori sede: di questi 72 saranno riservati per il diritto allo studio, vale a dire per gli studenti meno abbienti che potranno usufruire di un prezzo convenzionato.
“A maggio 2022 abbiamo mandato un avviso a tutte le università che fossero interessate a posti letto di questo tipo. È stata siglata una convenzione con l’Università degli Studi Milano Bicocca, che è la più vicina a questa futura struttura e che ha un gran fabbisogno di questi posti letto, almeno 200, perché già dal prossimo anno dovrà rilasciarne alcuni edifici”, spiega l’assessore all’Urbanistica di Sesto San Giovanni Antonio Lamiranda.
Chi è d'accordo con memi dia un riscontro. Definiamoinsieme il posto e il giorno._____________________________________________________ CUSM incontro 29
--------------------obiettivo TRENTA------------------------
da Luigi Limardo
13 luglio 2023 . da Giorgio
Il primo
ministro Kishida, che per cultura compete con Salvini e per cervello con
Tremonti, ha appena ricevuto dalla IAEA il permesso di scaricare le acque residue
dell’ex centrale atomica nel mare. Per pudore, di cui giapponesi e soprattutto
giapponesine son cultori, non ha detto quanto ha sborsato per riceverlo, ma
comunque è chiaro che Kishida è la classica “pastura di fuchi” di cui parla
Platone nel libro ottavo de “La repubblica”, mentre i “fuchi” sono i padroni
della famigerata agenzia IAEA.
Questa agenzia
dovrebbe essere un organismo internazionale, invece a tutti gli effetti è un
organismo sovra-nazionale, nel senso che fa il cazzo che vuole e nessuno ci può
metter becco.
Comunque
la scenografia dell’evento è stata perfetta : il funzionario della IAEA ( non affetto
da pudore) ha consegnato a Kishida una splendida cartella di color azzurro (
come dire che la natura non subirà danni ) e i due, ripresi da innumerevoli
scatti fotografici, si sono stretti calorosamente la mano : commuovente!
Ovviamente cinesi e coreani sono furibondi e usando una espressione diplomatica hanno detto che la decisione della IAEA è stata un po’ affrettata ( cioè la IAEA ha fatto in fretta a contare le banconote).
Bacioni a tutti, sia ai belli, che ai brutti. Giorgio
30 giugno 2023 . di Fabio le gesta
14 giugno 2023 . Carachino
Assommano ormai a cinque i romanzi di
Salvatore Carachino, autore di origini salentine e veronese di adozione. La sua
è una attività tarda e come a completamento della professione di insegnante di
lettere nelle scuole superiori. Utile quindi un accenno biografico. Carachino parte
da Galatina nel 1963 con una borsa di studio per il Collegio dell’Università
Statale di Milano con sede a Sesto San Giovanni. Si lascia alle spalle gli
studi liceali di stampo idealistico e una società paesana dominata da una
borghesia terriera connivente con il vecchio e pervasivo credo religioso. Porta
con sé l’immagine di famigliari e di amici fedeli, nonché il ricordo delle
stagioni estive trascorse ad aiutare il padre nel lavoro dei campi. Cinque anni
nella città lombarda rappresentano per il giovane la fondamentale rivoluzione
di vita. Tutti i temi della futura elaborazione letteraria hanno le origini in
questo tempo di studio, di riflessione ed anche della prima passione d’amore. Ascolta
Fubini ai corsi di letteratura italiana, Dal Pra a filosofia, Musatti per la
psicanalisi; incontra studenti di altre regioni italiane e di paesi stranieri. È
il tempo storico dell’osmosi sociale e del movimento studentesco al quale partecipa
a margine per il suo carattere schivo e per l’urgenza di laurearsi e di
inserirsi nel mondo del lavoro. È il tempo delle prime letture dei classici del
socialismo, dei viaggi sull’Espresso del Levante insieme con operai occupati
nelle industrie italiane ed estere, insieme con i proletari delle forze
dell’ordine dei quali parlerà Pasolini. Da insegnante a Verona decide di
conseguire anche la laurea in Filosofia. Per lungo tempo chiuso nei ricordi, si
risolve ad affrontare nella scrittura temi che hanno avuto un lungo periodo di
incubazione. «Resto un professore di scuola» lui afferma. E a scuola ha
ragionato con i suoi studenti di mercato e stato, di guerra e di pace, di
religione oscurantista e di fede liberatrice, di solitudine e di amore, di
sottomissione e di rivoluzione.
Un giorno il foglio e la penna, il computer… È il romanzo di esordio Il professore di lettere Luigi De Santis del
2006. Riscritto e ripubblicato da QuiEdit Vr nel 2018 come Professor De Santis. Nelle sequenze narrative non potevano non
ripresentarsi i grandi classici letti e commentati con gli studenti. Ecco, per
citare, il Cechov de La signora col
cagnolino, il Mann de I Buddenbrok,
con le celeberrime pagine di Hanno B. a scuola, e poi Dante, Leopardi, Luzi, il
Calvino de Il cavaliere inesistente. Le
riflessioni su Gramsci e sull’intellettuale organico.
Nelle opere successive assistiamo allo svolgersi approfondito e in
modulazioni diverse di quei temi con lontane radici. Tranne in Clara Weber, storia veronese, le altre
opere hanno lunghe sezioni ambientate in terra salentina e pervase di
nostalgia. La narrazione è concentrata su un ragionare filosofico che si
esprime in coloritura drammatica come in allegra vivacità, in tono ironico come
in malinconia. L’orchestrazione classica del racconto vede pochi e ben definiti
personaggi in uno sviluppo lineare, teatrale, mai ondivago, della trama. In continuità
con l’esperienza scolastica è sempre in primo piano la formazione intellettuale
dei personaggi, conclusa o in divenire. Ogni romanzo è connotato da singolare
originalità costruttiva. In Una lanterna
aggiunta e in Allegra e le 96 tesi
troviamo racconto e testo teatrale; in Professor
De Santis i capitoli con focalizzazione interna fissa cedono alla voce
diretta del protagonista; in Clara Weber
un evento storico si intreccia con l’immaginario di una compagnia teatrale
impegnata a tradurlo in recita.
Professor De Santis, 2018. Il giovane Luigi De Santis, docente
di lettere in un istituto tecnico di Verona, accompagnando in Salento la sua
classe quinta, rivede la sua terra d’origine. Nel clima festoso e vivace tipico
dell’extra scuola la studentessa Milena, mossa ad atteggiamenti seduttivi verso
il professore[A1] [A2] , risveglia in
lui il ricordo di Luisa, compagna di università e figura di senso. La storia
della travagliata formazione del personaggio De Santis è collocata a Milano negli
ultimi decenni del secolo, quando ormai il mondo accademico davanti alla globalizzazione
delle tecniche si chiudeva in stanchi miti ed il paese assisteva ad un pericoloso
conflitto sociale che avrebbe[A3] condizionato le
generazioni future. Tema che realizza l’unità narrativa è il viaggio. Viaggio
come rinnovamento, estasi, ma anche gioia-dolore del ritorno. Il professore è
consapevole di essere per Milena punto di riferimento intellettuale e nel contempo oggetto, verosimilmente non unico, di prime
prove di seduzione. Nel conflitto tra razionalità e passione la lucidità
è soccorsa dalla memoria di una giovinezza difficile, mentre il desiderio è
alimentato in modo devastante dalle esperienze con il gruppo classe, dal
vissuto in spazi aperti. I capitoli che raccontano l'avventura salentina,
destinata a prolungarsi nella città scaligera, si alternano con quelli della
memoria. Le due storie, inizialmente estranee e distanti, andranno via via messe
a specchio nel finale. Una riflessione sull’esperienza drammatica
dell’insegnamento: se ogni lezione che sia appassionante per tutta la classe
contiene una speciale promessa a tutti i ragazzi, allora bisognerà augurarsi
che la società non la mantenga poi solo con alcuni.
Una lanterna aggiunta – Ritorno in
accademia, 2016.
Soti Pasina, direttore di biblioteca in un paese del Salento, ha riportato da
un viaggio in India con la figlia Sofia e l'amica di lei Claudia una serie di
fotografie del grande raduno religioso del Kumbh Mela. Il francescano Alfonso
Aloisio propone una selezione di foto per l'attività parrocchiale. Gli incontri
in un circolo letterario diventano occasione di dialogo sul destino delle
religioni. Sono spesso coinvolte le due giovani, aggressiva e malinconica
Sofia, tempestosa e provocatrice Claudia. Emerge l'idea che i credenti, se vogliono
vivere nel mondo moderno, sono chiamati a tradurre i contributi rilevanti della
loro fede in un linguaggio universalmente comprensibile e a rinunciare non alla
loro tradizione identitaria, ma alla autorità vincolante e alla validità
universale che quel passato ha sempre preteso. Con il gruppo dei viaggiatori si
è accompagnata una signora, Gaia, la cui immagine ricorrente, unita ad una
saltuaria presenza come villeggiante in Salento, lascia intendere una storia
d'amore con Soti destinata a nuovi sviluppi. In frate Alfonso alla suggestione fotografica
suscitata dal fantasmagorico evento religioso e dai paesaggi della regione
indiana si aggiunge un nascosto incantamento per una donna affascinante e perturbatrice,
a innescare forse una crisi esistenziale. Ritorno
in accademia è la commedia che si immagina scritta dal Pasina con un
personaggio femminile destinato alla interpretazione della figlia, attrice
dilettante. Nella trama Toti, ex parlamentare agli arresti domiciliari, ha
ottenuto dal giudice la possibilità di recarsi nella vicina sede di una
accademia letteraria dove potrebbe ravvedersi con buone letture e positive
frequentazioni. A contrasto con lo squallore di individui invischiati in loschi
affari spicca una figlia ribelle che, pronta all’irrisione e al sarcasmo,
ostinata ma anche rassegnata al fallimento, non perde occasione per rivolgere
feroci critiche al padre e per scatenare violenti litigi con il fidanzato che
ha deciso di abbandonare.
Allegra e le 96 tesi – Il principe chierico,
2020. In
una villetta di campagna tre giovani amici chiamano per una serata in allegria
una professionista del piacere, della quale hanno notizia come colta e vivace
conversatrice, scommettendo su chi sarà scelto per restare solo con lei. Al suo
arrivo e poi con il sopraggiungere di altre due sue compagne essi rimarranno a
lungo sospesi tra una possibilità di svago al di sopra di ogni aspettativa e
una situazione che si prospetta intrigante. Le tre donne si presentano come
suore ribelli e disinibite, impegnate in una vasta e segreta organizzazione per
diffondere un libello clandestino con 96 tesi per una riforma della Chiesa a
cominciare dall’abolizione del celibato. Un soggetto incendiario nella cornice
di una diabolica giostra. Il principe
chierico è il racconto dell’anziano
professore Salvo C. che ha scritto la commedia e che, di ritorno nel paese di
origine in Salento, spera anche di affidare la sua opera a gente di teatro. Conosce
Amira, una giovane siriana impiegata alla reception nel suo albergo con la
quale condivide idealità ma anche un senso di estraneità al paese. E come la
primavera con i suoi fiori si riprende un paesaggio devastato dalla malattia
degli ulivi, così la straniera pare destinata a riversare la sua forza vitale
su una terra che il vecchio invece abbandona per sempre. La parola è tesa a
distinguere tra responsabilità e destino in una storia segnata da vecchie fedi,
deboli legami sociali, distacchi dolorosi.
La collega di religione, 2022.
Paolina Convalli, insegnante di religione, Mario Ramesa, di lettere.
Giovani docenti al primo anno in un liceo veronese e con una classe quinta in comune.
Lei, assillante con le proposte di coordinamento tra le loro materie, irrita il
collega che, pur riconoscendo un agire per forte simpatia se non per
innamoramento, teme una intenzione di controllo ideologico non esente da
gelosia professionale. Non è attratto da una donna dall’aspetto ordinario,
sposata, ma le manifesta stima cui si aggiunge nel tempo una sincera affezione.
È convinto di una libertà assoluta nel suo insegnamento mentre Paolina deve
conquistarsela con fatica quella libertà, trovandosi sempre esposta nella
interpretazione storica del deposito di fede come su spinosi temi etici. La quotidianità
avvicina i due colleghi impegnati nelle problematiche di classe come in roventi
dialoghi a carattere filosofico e politico. E proprio delle spavalde certezze
laiche dell’uomo lei è sempre a dolersi, amandolo non ricambiata. Chi è Paolina?
Una docente che si sente isolata in un collegio di sfiduciati, che ha chiesto a
Mario una collaborazione risultata sempre improbabile o tesa, che si vede costretta
anche a misurarsi con la bella di turno. Posta a grave rischio per la sua
cattedra, per la sua opera di volontariato in parrocchia e per il suo
matrimonio già difficile, si ritrova chiusa in una prigione dei sensi visitata
dalle furie. Con una apertura ad esiti rivoluzionari.
Clara Weber, 2023. (Modifica
testo edito nel 2010) Al giovane professore Lucilio Corradi, che in
ospedale a Verona assiste per lunghi giorni il padre gravemente ammalato, viene
chiesto dal primario di reparto e attore dilettante di collaborare nella
ricerca di fonti per uno spettacolo sulla Grande Guerra. Dal suo incontro con
l’infermiera Clara si sviluppa una storia drammatica che assume un forte valore
simbolico a specchio di ciò che deve essere rappresentato. Donna contesa da
uomini molto diversi per formazione e carattere, coinvolta nel progetto
teatrale come corista e comparsa, segue Lucilio con attori e attrici in
escursioni mirate su tracce del conflitto che le nostre montagne hanno
conservato. Ai fini di una narrazione unitaria, di una continuità tra il vero e
l’invenzione, la materia delle fonti, riportata parte in originale e parte in
adattamento, si intreccia con la complessa e struggente evoluzione dei
sentimenti dei due protagonisti; è l’elemento correlato alla fantasia, recita
evocante un passato doloroso e incancellabile. L’autore con questo singolare
romanzo a sfondo storico ci conduce nella letteratura dell'anima, quella che
con le passioni dei personaggi esprime più direttamente i legami sociali e i valori
fondati sui grandi eventi della storia nazionale.
3 giugno 2023 . Da Paolo Pulina
1ma ipotesi : in Lunigiana (con Franco Bonini)
ANNO ACCADEMICO 1966/67
1) I sulmonesi ed il CUSM
Nel
1966, dopo l’esame di maturità, io e la mia amica Vincenzina Centofanti
vincemmo una borsa di studio per frequentare l’Università Statale di Milano e
soggiornare gratuitamente nel Collegio Universitario Statale Milanese (CUSM).
Il
CUSM già ospitava alcuni studenti di Sulmona, tutti borsisti: Paolo Macrì
dall’anno accademico 1964/65, Paola Bonaminio e Liana Liberale
dall’a.a.1965/66.
In
realtà io non potevo considerarmi proprio una sulmonese d.o.c.: nata a
L’Aquila, ero approdata nella bella cittadina abruzzese, patria di Ovidio, a
dodici anni, in seguito al trasferimento di mio padre per motivi di lavoro. Era
cancelliere al Tribunale de L’Aquila e gli venne prospettata la possibilità di
diventare cancelliere capo della Pretura di Sulmona. Chi mai avrebbe rifiutato?
Per
me lasciare la città dove ero nata costituì uno strappo doloroso. Ma, dopo aver
frequentato a Sulmona la seconda e la terza media e i cinque anni del liceo
classico, mi scoprii completamente integrata in quella realtà di provincia.
Per
spiegare che cosa il CUSM abbia rappresentato soprattutto per noi ragazze
sulmonesi bisogna fare un passo indietro e raccontare come fosse organizzato e
diretto con pugno di ferro il liceo classico “Ovidio” di Sulmona nella prima
metà degli anni sessanta, circa sessant’anni fa.
Le
classi dovevano essere, secondo la visione del Preside, rigorosamente solo
maschili e solo femminili. In realtà esisteva, formatasi per cause di forza
maggiore, anche una classe mista, che per questo… veniva sorvegliata a vista e
guardata con sospetto dalla massima autorità del liceo!
Queste
le regole del Preside Alfonso A., chiamato affettuosamente da noi “Fofò” …
Noi
ragazze dovevamo entrare a scuola alle 8,20, mentre i nostri compagni alle
8,25. I due gruppi non si dovevano mescolare salendo le scale. I ritardatari
erano ammessi in classe solo “in via del tutto eccezionale”. Durante la
ricreazione i due gruppi non si dovevano incontrare: esisteva una linea di divisione
invisibile nel corridoio che non doveva essere superata per nessun motivo.
L’uscita era regolata come l’entrata.
Era
come se all’interno di uno stesso edificio scolastico esistessero due scuole
separate. A volte però mi veniva affidato da qualcuno dei miei docenti il
compito di andare in biblioteca o in sala professori a prendere qualche libro,
perciò dovevo per forza addentrarmi nella metà proibita del corridoio… E
siccome le lezioni si svolgevano generalmente a porta aperta, riuscivo a
sbirciare nell’aula della IIIA il mio “lui” che seguiva attentamente le
lezioni. Che emozione!
Impossibile,
durante le ore di scuola, parlare con i nostri compagni maschi. Impossibile
chiacchierare con loro o scherzare durante la ricreazione.
Fuori
di scuola la situazione migliorava, ma era regolata da una ritualità precisa.
C’era
il rito dell’accompagnamento: un ragazzo cominciava ad accompagnare una ragazza
per la quale provava un certo interesse; lei però di solito si trascinava
dietro come minimo un paio di amiche, almeno fino al momento della
“dichiarazione”... Allora, nel caso dell’accettazione del legame da parte della
ragazza, si formava una coppia, ed automaticamente le amiche smettevano di fare
da chaperon… Si passeggiava nella Villa comunale, la domenica si ballava nelle
case al suono del giradischi, sotto l’occhio vigile ma discreto dei genitori, e
gli amori, quelli già nati e quelli che nascevano a suon di musica, erano
regolati da inesorabili orari di rientro. Guai trasgredire! Musi lunghi e
proibizioni erano il risultato, sia pure temporaneo, dell’alzata di testa!
Bisognava prendere qualche bel voto per far tornare il sorriso sulle labbra di
mamma e papà. Compito facile, per noi ora diventate ospiti del CUSM: eravamo
infatti tra le ragazze più brave del liceo classico, fiore all’occhiello dei
nostri insegnanti e dei nostri genitori!
E
dopo il liceo all’improvviso ci ritrovammo nel CUSM, un grattacielo di tredici
piani per i ragazzi e un palazzetto di quattro piani per le ragazze, che però
non erano molte e venivano ospitate solo in tre dei quattro piani. La
costruzione era bella ed elegante e le camere erano singole con bagno annesso.
Sembrava un sogno per la maggior parte di noi ragazze, che fino a quel momento
avevamo condiviso le camerette con le nostre sorelle. Ora avevamo la
possibilità di studiare nel silenzio di una camera solo nostra e questa era una
grande opportunità che ci veniva offerta. Ma chissà, forse presto avremmo
rimpianto la compagnia delle sorelle…
Tutto
era nuovo per noi. Eravamo affidate solo a noi stesse e al nostro buon senso.
Il bisogno di confrontarsi con “l’altra metà del cielo” era forte, non avevamo
avuto mai dei compagni di classe! Ci era quasi sconosciuto il modo di pensare
dei ragazzi e, dal bisogno di percepire “visioni del mondo” diverse dalle
nostre, nacquero delle belle amicizie, che arricchirono di sfumature il nostro
modo di accostarci alla realtà.
2) I processi alle matricole… Il Giussani
Era
tradizione che le matricole fossero sottoposte a dei veri e propri “processi”.
Gli studenti più in là con gli anni assumevano un aspetto burbero e severo e
cominciavano a tartassare con delle domande spesso tendenziose i poveri
malcapitati. Mi è rimasto impresso il processo ad un ragazzo siciliano, che
avevano ribattezzato “Randazzo” perché il paese da cui proveniva si chiamava
così. Gli posero una domanda che doveva
suonare pressappoco così: “Come nascono
i bambini ?” o meglio “Come si arriva al concepimento?”. L’imbarazzo del
ragazzo era terribile… cercava di esprimersi in modo preciso, ma casto, facendo
ridere a crepapelle quella masnada di torturatori.
Qualche
ragazza andò via piangendo. Di una biondina con i capelli lunghi ricordo
benissimo il viso bagnato di lacrime. Si chiamava Augusta e in una foto del
blog è in posa con me, Titti, Vincenzina, Rita Senia ed un’altra di cui
purtroppo non ricordo il nome.
Anche
a me capitò di essere sottoposta ad un processo. La prima domanda fu: “Dove sei
nata?” Ed io, grata per la banalità della domanda, mi rilassai nell’ovvietà
della risposta… “A L’Aquila”. A questo punto uno studente un po’ spocchiosetto,
aquilano, si presentò con nome e cognome e mi chiese se sapevo chi fosse suo
padre. Io non lo sapevo. Il “torturatore” era figlio di un primario che
lavorava all’ospedale San Salvatore de L’Aquila, ma come potevo saperlo, visto
che avevo lasciato la mia città natale a dodici anni? Fui condannata a scrivere
per cento volte “Sono una m***a” e fui affidata al Giussani che fino a quel
momento aveva mostrato una certa perplessità. Aveva l’aria di chi si sta
annoiando a morte e aveva stampata sul viso l’espressione: “Ma chi me lo fa
fare?” Sembrava proprio che non vedesse l’ora che questa buffonata finisse. E
si mise a contare man mano le frasi che scrivevo, tanto per fare qualcosa… Io
le scrissi lentissimamente, con un corsivo bellissimo e rotondeggiante da prima
elementare. Giussani aveva l’aria di chi pensa: “Ma quando finirà di scrivere
questa qui?” Il bello venne alla fine, quando con voce soave gli chiesi: “
Scusi, ma il soggetto è “io” o “loro”? Penso “loro”, no? “Loro” sono una
m***a!” La mia era proprio una provocazione… Era veramente troppo! Fui
costretta a riscrivere di nuovo le cento frasi aggiungendo per cento volte
“Io”. Ma mi ero proprio divertita. Mi divertii ancora di più vedendo il Giussani
andarsene ridendo sotto i baffi. Simpatico ragazzo!!! Un vero gentiluomo.
3) L’amicizia con Francesco Facchini e
Francesco Paolo Colucci
Per
tutte le matricole ospitate nel CUSM i primi mesi dell’anno accademico ‘66/67
furono quelli della socializzazione con gli altri studenti del collegio, dei
processi alle matricole, subiti con un certo divertimento, nonostante tutti gli
sforzi dei “giudici” per risultare antipatici… furono quelli dei discorsi sui
massimi sistemi, delle ore passate a perdere tempo, dei balli e dell’ascolto
della musica in teatro… Abituati al regime un po’ oppressivo del liceo, la
libertà ci diede un po’ alla testa, fu come ritrovarsi all’improvviso sulla
cima del K2! Avevamo formato un bel gruppetto di ragazzi e ragazze, ma molti di
noi erano borsisti, perciò, se volevamo rimanere lì, dovevamo impegnarci nello
studio...
Organizzare
le giornate di studio era difficile per una matricola. La mattina partivano due
pullman per le sedi universitarie di Festa del perdono e di Città studi, uno
per gli studenti “umanisti”, l’altro per quelli “scientifici”. Ci riportavano
indietro all’ora di pranzo e questo avanti ed indietro si ripeteva di
pomeriggio. Seguire le lezioni non era semplice, bisognava prendere appunti e
riordinarli, ed un registratore a volte avrebbe fatto proprio comodo... Gli
esami, oltre al corso, prevedevano molte parti che bisognava studiare da soli,
perché si presupponeva, ed allora era realmente così, che dei ragazzi usciti
dal liceo fossero in grado di leggere, capire e studiare da soli tomi
pesantissimi.
Ebbene,
in questo contesto l’amicizia con i ragazzi fu fondamentale. Si muovevano con
più disinvoltura in questo nuovo mondo rispetto a noi, o, per lo meno, questa
era la mia sensazione.
Ci
si vedeva sul pullman ed inoltre all’ora di pranzo e di cena. I tavoli erano
per quattro e quelli che erano diventati amici spesso ne occupavano due o tre
vicini. Oppure, al contrario, si diventava amici perché ci si ritrovava più
volte a mangiare in tavoli vicini. Ma di che cosa si parlava? Io, Titti e Rita
spesso chiacchieravamo con Francesco Paolo Colucci e Francesco Facchini. Si
scherzava, ma si affrontavano anche argomenti seri, se capitava.
Penso
di aver imparato di più sulla Resistenza dai discorsi di Francesco Facchini piuttosto
che da tutto quello che avevo studiato fino a quel momento… Sono stata la sua
prima studentessa, ma credo che lui non l’abbia mai nemmeno lontanamente
supposto!
Francesco
Paolo Colucci era forse il più brillante nel nostro gruppetto di matricole
“umanistiche”. Studiava filosofia ed a lui sono debitrice di un ottimo
consiglio: smettere di frequentare il corso di filosofia teoretica tenuto dal
Paci, per passare al corso di filosofia morale tenuto dal Cantoni. Ancora oggi,
quando sento parlare di Husserl e della epochè mi vengono i brividi… Ed ancora
oggi penso a Francesco Paolo tutte le volte che sento parlare di filosofia
teoretica…
4)
Il CUSM e l’incontro tra classi sociali
Noi
ragazze eravamo piuttosto insicure nell’approccio al nuovo mondo, in
particolare noi di Sulmona, catapultate in una realtà così diversa dal nostro
liceo…
L’ambiente
del collegio che ci aveva accolto era lussuoso, il giardino magnifico, le
camere confortevoli. Non dovevamo preoccuparci di nulla, dovevamo soltanto
studiare! Vi erano anche campi da tennis e da bocce, per rilassarci nel tempo
libero. E che dire del teatro, del soggiorno e della biblioteca? Il bar ci
confortava con un orario piuttosto prolungato, si poteva studiare in biblioteca
anche con i ragazzi, nel soggiorno si chiacchierava e si giocava a carte. C’era
una sala TV, ma noi matricole preferivamo andare in teatro ad ascoltare le
canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones. Ci scatenavamo con il twist e il rock
fino allo sfinimento, oppure cantavamo le canzoni dei nostri cantanti
preferiti. Oltre ai Beatles adoravamo Gianni Morandi e Celentano, ma anche Joan
Baez, Bob Dylan e il mitico Elvis erano tra i compagni preferiti delle nostre
serate.
Il
gruppetto in cui io mi ero inserita era formato prevalentemente da borsisti.
Come mai? Forse la timidezza ci accomunava e l’atteggiamento un po’ insicuro di
tutti aveva fatto da collante. Era come se ci fossimo riconosciuti come simili.
Ai
nostri occhi la popolazione studentesca del CUSM si divideva in borsisti e non
borsisti. Inutile negare che noi borsisti eravamo molto fieri di aver ottenuto
un regalo così grande grazie alla nostra bravura a scuola. Eravamo grati ed
orgogliosi. Ma… da quale mondo provenivano i “non borsisti”?
Fino
a quel momento io non avevo percepito a Sulmona l’esistenza di classi sociali
diverse tra loro.
La
piccola borghesia impiegatizia era la classe sociale più numerosa nella
cittadina abruzzese, per cui non c’erano grandi differenze nello stile di vita
delle famiglie. Era tutto molto omogeneo. Il tenore di vita si diversificava un
pochino solo se la moglie del capofamiglia non lavorava e i figli erano
numerosi.
La
media borghesia delle professioni (avvocati, notai, medici, farmacisti,
ingegneri), del commercio e dell’imprenditoria (agiati commercianti, ricchi
artigiani ed imprenditori) a Sulmona costituiva una fascia piuttosto sottile,
quasi invisibile, che si percepiva solo quando qualche studente del nostro
liceo raccontava di essere andato a sciare o si vantava di aver trascorso parte
delle vacanze all’estero.
Studenti
provenienti dalla classe operaia e da quella contadina erano quasi assenti nel
liceo ed in ogni caso il loro tenore di vita non si distaccava di molto da
quello della piccola borghesia impiegatizia.
Le
terre infatti erano fertili e rendevano bene, e diverse industrie, tra cui la
Fiat, avevano dato lavoro a molti operai. In fondo erano solo gli studi fatti
dai genitori a fare la differenza.
Ma
ora guardavamo con curiosità la massa dei nostri compagni di collegio e ci
chiedevamo chi fossero i “non borsisti” del CUSM... E noi, come ci
distinguevamo da loro? Come eravamo percepiti?
A
volte nell’atrio si incontravano ragazzi biancovestiti con la racchetta
poggiata sulla spalla.
Volti
tranquilli, di chi è abituato da sempre a giocare a tennis. Ci sbirciavano e
accennavano un sorriso. Non c’era nessuna ostentazione. All’epoca il tennis era
ancora uno sport d’élite, ma per loro era normale passare così il tempo libero.
Oppure
saliva sul pullman una ragazza con una pelliccetta buttata sulle spalle, come
un cappottino qualunque. Un sorriso, una domanda “Che facoltà frequenti?”,
così, tanto per rompere il ghiaccio. Un sorriso amichevole e nessuna
ostentazione.
Chi tra
le più grandi aveva già la macchina si limitava a dire che il papà e la mamma
gliela avevano regalata per un unico motivo: farla tornare a casa ogni
settimana per il weekend!
Ben
presto capimmo che eravamo tutti lì per lo stesso motivo: studiare e crearci il
futuro che sognavamo. E, nonostante alcune differenze sociali, non c’erano grandi
diversità tra le nostre famiglie nello spingerci a studiare e ad impegnarci il
più possibile.
La
nostra diffidenza sparì e cominciò l’epoca più bella della nostra vita, quella
delle amicizie vere e sincere.
Fu
la loro mancanza di ostentazione a creare un clima fraterno.
Il
CUSM fin dal primo momento si distinse per questo. O almeno così apparve ai
nostri occhi innocenti.
5)
Maria Teresa Sala detta Titti
Titti,
quando la conobbi, aveva un caschetto castano scuro alla Caterina Caselli che
le incorniciava il bel volto in cui spiccavano due ridenti occhi chiari.
Facemmo subito amicizia perché era simpatica, determinata e concreta. Lei era
di Carvico, vicino a Bergamo, dove ritornava quasi ogni settimana per rivedere
la sua famiglia. Aveva tre sorelle e lei era la più grande. Fino all’ultimo
momento era stata incerta se iscriversi a lettere o a matematica, poi aveva
scelto lettere perché pensava che sarebbe stato più gradevole insegnare materie
umanistiche. Anche lei, come noi, era rimasta sorpresa nel vedere il mondo in
cui eravamo piombate, così diverso dal vissuto liceale! E come noi si era
lasciata trascinare dal dolce far niente dei primi tempi, quando le serate
musicali erano la parte più interessante della giornata.
Per
nostra fortuna aveva un papà maestro elementare! Una volta tornò da casa
rabbuiata in volto. Chiamò a raccolta nella sua camera me, Rita e qualche altra
e ci disse che dovevamo smetterla di perdere tempo così! Suo padre l’aveva
sgridata! Eravamo in Collegio per studiare e non per fare baldoria tutte le
sere! Lei non sarebbe più venuta, doveva cominciare a preparare l’esame di
storia romana.
Era
come se il papà di Titti fosse presente lì con tutte noi, per rimproverare
anche noi e per riportarci sulla dritta via dello studio!
Basta,
dal giorno dopo tutte a studiare!!! Il mio primo esame fu Psicologia con
Musatti e il secondo Geografia con il Gambi…
6) Paolo Macrì e la mela
Paolo
Macrì era di Sulmona come me e come le altre tre ragazze del liceo classico
“Ovidio”. Tutte avevamo ottenuto come lui una borsa di studio. Al liceo era
stato compagno di banco del mio “lui”, il mitico Giorgio che era stato valutato
dal bravissimo prof. Critani con dieci in matematica. Tutto il liceo ne parlava
ancora. Dieci in matematica al liceo classico! Mai nessuno prima!!!
Paolo
andava sempre di corsa. Sembrava che avesse sempre qualcosa di urgentissimo da
fare. Solo una volta si fermò e mi chiese di Giorgio, che stava frequentando il
Politecnico di Torino. La sua fretta perenne mi lasciava perplessa, ma nella
mia semplicità pensavo che stesse studiando moltissimo per preparare una bella
tesi ed andarsene al più presto dal Collegio dove, a detta di molti, la vita
era noiosa e si mangiava davvero male… Forse non vedeva l’ora di cominciare una
vita più interessante, al di fuori della nostra gabbia un po’ monotona.
Ed
eccoci al punto. Una sera, per caso, io e Titti ci sedemmo al tavolo di Paolo.
Non c’erano altri posti. La conversazione iniziò stentatamente. Taleggio e
patate erano la cena. Nessun commento da parte mia e di Titti. Lui ci raccontò
che qualche volta si faceva preparare dal cuoco delle uova strapazzate. La cosa
ci stupì e forse lo stupore venne percepito.
Dopo
un po’ il cameriere gli portò la frutta, una mela.
Lui
chiese coltello e forchetta. E cominciò la vivisezione della povera mela. Venne
tagliata in quattro spicchi, poi venne eliminata, un po’a fatica, la parte centrale
di ogni spicchio, quindi si passò alla fase più difficile, eliminare la buccia.
L’operazione procedeva con accuratezza, ma con una lentezza incredibile,
esasperante. L’atteggiamento di Paolo era concentrato, ma un filo sussiegoso e
non stimolava nessun tipo di conversazione. Lo guardavamo in silenzio, un po’
stupite. Semplice scortesia o esibizione?
Alla
fine dello spettacolo lui si alzò e ci salutò velocemente, con uno sguardo che
ebbe un guizzo indecifrabile. Ci guardammo in faccia allibite e scoppiammo a
ridere.
Era
stata davvero una esibizione? Ma perché?
“No
- dissi io - non è stata una esibizione, ma una semplice esercitazione.” “Vuole
migliorare” continuai convinta. “Evidentemente vuole raggiungere livelli di
perfezione in ogni campo. Forse vuole essere sempre all’altezza dell’ambiente
in cui si trova e in quelli in cui auspica che si troverà.”
“Voleva
stupirci, forse…” replicò la mia amica.
“Chissà!
Non lo sapremo mai ” aggiunsi io.
Che
sofferenza deve essere la vita per i perfezionisti e gli ambiziosi! E che noia
cenare con un perfezionista…
Questa
fu la nostra conclusione.
E
chissà perché questo episodio insignificante mi è rimasto impigliato nella
memoria…
7) Stefano Zecchi e la sua corte
La
mensa era un locale molto grande, arredato con tavoli per quattro persone e
confinante con la cucina. Gli amici, spesso colleghi di facoltà o di piano,
pranzavano sempre insieme.
Accanto
alla porta d’ingresso del salone - mensa stazionava, di solito al primo o al
secondo tavolo, un gruppetto costituito da Stefano Zecchi e dai suoi compagni,
sempre molto ossequiosi nei suoi confronti. Lui aveva un evidente atteggiamento
da capo, gli altri sembravano i suoi… portaborse! O almeno era questa la nostra
sensazione. Quando lui si metteva a ridere, gli altri, immediatamente, lo
imitavano e cominciavano anche loro a sghignazzare. Questo fatto non facilitava
l’ingresso in mensa di ragazzine ex liceali un po’ insicure e forse troppo
egocentriche. Quella risata veniva
sempre percepita come diretta a loro… Come sfuggire all’odioso suono
della terribile risata dello Zecchi? Entrare in gruppo parlottando tra noi fu
la soluzione, mantenuta per qualche tempo. Ma ora penso che in realtà lo Zecchi
nemmeno ci vedesse e che, sicuramente, non ci considerasse degne nemmeno della
sua risata… Forse…
8) Giampiera Arrigoni, la più brava del CUSM
Giampiera
aveva due anni più di noi ed era bravissima. Tutti sapevano che il suo libretto
traboccava di 30 e 30 e lode, ma lei non si dava arie ed era sempre pronta a
dare preziosi consigli a noi matricole di lettere. Il più importante per noi?
Frequentare gli Istituti, in particolare quello di Filologia classica, parlare
con gli assistenti e chiedere loro spiegazioni di qualunque tipo, utili per
l’organizzazione del nostro studio ed apprendimento. Era diventata il nostro
modello di studentessa dopo l’iniziale periodo di sbandamento dovuto alla
novità dell’ambiente.
Un
altro motivo di ammirazione da parte nostra era costituito dalla disinvoltura
con cui entrava nel salone - mensa. Aveva un’andatura elegante, ed un passo
lungo, felpato, da pantera. Non si guardava intorno e non degnava di
un’occhiata lo Zecchi e la sua corte, che invece la seguivano sempre con lo
sguardo, senza ridere. Incuteva rispetto ed anche un po’ di soggezione. Un mito
per noi, anche negli anni successivi.
9) Luciana
Donazzi e la sua gentilezza
Luciana era
come me matricola di lettere classiche. Solo lei ed io, tra le matricole di
lettere presenti nel CUSM, avevamo scelto nel 66/67 questo indirizzo così
difficile. Lei era molto dolce e gentile e la sua personcina, delicata e
sottile, faceva tenerezza. Ma aveva una personalità forte e determinata,
nonostante l’apparente fragilità. All’inizio dell’anno accademico qualche volta
a me e a Titti capitava di pranzare con lei. Era di piacevole conversazione, ma
mangiava molto lentamente, cosa di cui si scusava sempre con noi, attribuendo
questa caratteristica ad abitudini infantili acquisite in famiglia. Allora
anche noi, colpite dalla sua buona educazione, istintivamente rallentavamo il
nostro ritmo per non farla sentire a disagio. Le nostre difficoltà di studio e
quali scelte compiere tra gli esami complementari erano gli argomenti più
gettonati, ma soprattutto ci appassionava parlare di come era bello vivere al
CUSM! Era una favola il posto dove la sorte ci aveva mandato ed ogni giorno era
più bello di quello precedente!!! Lei si illuminava tutta quando parlava del
nostro collegio, ma anche noi la seguivamo a ruota libera. Ed un giorno per lei
arrivò il Maddaluna e per Titti il Claudio Bertoluzzi di Voghera!!! Io, che
avevo il mio lui a Torino, pur rimanendo loro amica cominciai a frequentare più
spesso le altre matricole, mentre le lunghe lettere che Giorgio ed io ci
scambiavamo e le telefonate quasi quotidiane mantenevano vivo il nostro amore.
10) Piero
Maddaluna, un “capo”simpatico ed amichevole
Piero
era sempre allegro e cercava di far sentire a proprio agio le persone appena
arrivate. In che modo? Con la tecnica dell’identificazione e con quella del
riconoscimento. Io fui notata per i miei stivaletti bianchi e da allora
diventai “la ragazza con gli stivaletti bianchi” (identificazione). Mi salutava
dicendo “Ciao, stivaletti bianchi!” (riconoscimento).
Questo
gioco mi faceva piacere e mi faceva sentire parte del gruppo dei cusmini. Ma un
giorno indossai un paio di mocassini blu e dovetti dire che mi chiamavo Norma:
l’identificazione si era completata!
Piero
era un capo, ma un capo simpatico. Aveva un gruppo di amici fidati, quasi tutti
studenti di ingegneria come lui, ma nessuno di loro era trattato come un...
“portaborse”. Insieme fungevano da organizzatori della goliardia del CUSM.
Oltre ad occuparsi della preparazione dei “processi” alle matricole, ogni anno
dovevano mettere in scena nel teatro del collegio la parodia dell’Ifigenia in
Aulide di Euripide, dopo aver cercato e soprattutto trovato le attrici e gli
attori adatti per una performance divertente, ma piuttosto sboccata...
Noi ragazze matricole eravamo un po’ imbarazzate
di fronte alla prospettiva di dover interpretare qualche ruolo nella commedia.
Alcune di noi vennero scelte per recitare nel coro delle vergini, e ci volle un
bel coraggio per leggere quei versi licenziosi... Ma alla fine le risate del
pubblico scrosciarono liberatorie, accompagnate dai battimani per la bravura
della protagonista, una matricola bassa e un po’grassottella, che però non
gliela aveva data vinta e con grande disinvoltura aveva recitato senza mostrare
nemmeno un grammo di imbarazzo!!!
11) I
miei 19 anni: nuove amicizie all’orizzonte!
Con
il mese di gennaio cominciai a studiare seriamente. Noi borsisti di lettere
dovevamo superare quattro esami durante il primo anno ed ottenere almeno la
media del 27 per avere di nuovo la possibilità di rimanere nel CUSM gratuitamente,
anche nel secondo anno! Ma tutto ciò non bastava: agli ottimi risultati
scolastici doveva accompagnarsi un reddito familiare piuttosto modesto, ma io
da questo punto di vista ero tranquilla: lavorava solo mio padre, mia madre
all’epoca era casalinga e ben tre figli costituivano la prole dei miei
genitori!!!
Provavo
un po’ di nostalgia della mia famiglia, soprattutto quando nei weekend vedevo
partire per le loro case le mie compagne che abitavano nei dintorni di Milano.
Ma per fortuna un “pezzo” della mia famiglia si trovava anche in questa città
ed era proprio questo il motivo per cui i miei genitori mi avevano permesso di
iscrivermi all’Università Statale di Milano e di concorrere per la borsa di
studio.
A
Milano abitava la famiglia del fratello di mia madre. Zio Vincenzo aveva
sposato una simpaticissima ragazza di Terni, zia Laura, ed avevano due figli
piccoli che non frequentavano ancora la scuola materna. I bambini erano dolci e
simpatici ed io adoravo i miei cuginetti.
A
volte la domenica andavo a trovarli ed era un piacere parlare con gli zii,
giocare con Riccardo e Francesco, e raccontare ai bambini qualche favola
inventata da me.
Ma
per tornare la sera in Collegio dovevo prendere prima un tram, poi la
metropolitana fino a Sesto ed infine fare un lungo tragitto a piedi...Così mia
zia cominciò ad invitare anche Vincenzina, che fu molto felice di assaporare
anche lei il clima sereno della famigliola dei miei giovani zii.
Ben
presto però, anche per rispettare la loro privacy, imparammo a diventare più
autonome nel tempo libero e cominciammo a fare amicizia con altre ragazze, che
sostituivano in parte quelle ormai “fidanzate”...
Il
primo febbraio, giorno del mio compleanno, organizzai nella sala soggiorno una
festicciola, a base di dolci e coca cola, con le amiche vecchie e nuove che, o
avevano il ragazzo lontano, come me, oppure non avevano ancora trovato la loro
anima gemella nel nostro collegio.
A un
certo punto della serata in cui festeggiavo i miei diciannove anni, tornò da
casa sua un ragazzo di Baveno che ci fece morire di risate raccontandoci le sue
prodezze con i semafori e le indicazioni stradali, che spostava per far
sbagliare la strada agli automobilisti!!!
Beh,
eravamo ancora troppo giovani e decisamente un po’ sconsiderate per divertirci
così, sentendo il racconto di simili prodezze. Ma forse il simpatico ragazzo si
era inventato tutto per colpire la nostra attenzione e farci ridere... O forse
voleva conquistare così qualcuna di noi... Infatti qualche tempo dopo lo vidi
mano nella mano con una ragazza carina
dai capelli rossi: un’altra coppia si era formata!!!
12) Giuseppe
Monteleone e i Rolling Stones
Nonostante
le nuove amicizie, spesso la malinconia mi assaliva ed io mi sforzavo di tenere
dentro di me la nostalgia del mio ragazzo, perché non aveva senso mostrarla
agli altri. Sorridevo apparentemente serena ai miei compagni di collegio,
cercando di abituarmi al tran tran della vita nel CUSM, così ripetitiva ed
anche un po’ noiosa.
Uno
dei nuovi amici però si accorse della mia malinconia, che era visibile
soprattutto quando nei week end il collegio si vuotava.
Si
chiamava Giuseppe Monteleone, non abitava in collegio, ma veniva sempre a
trovare una sua amica di vecchia data con cui preparava degli esami. Giuseppe
studiava e lavorava. Scriveva su una rivista di musica moderna. Una volta ci
mettemmo a parlare dei Beatles e dei Rolling Stones e da questa passione
musicale nacque la nostra amicizia.
Quando
il mio sorriso spariva mi diceva: “Facciamo una corsetta?” Mi prendeva
sottobraccio e correvamo su e giù per la grande sala di soggiorno dove molti
giocavano a bridge. Mi faceva morire dal ridere con le sue smorfie buffe e la
tristezza per un po’ spariva.
Di
lui ricordo nitidamente che ogni primo febbraio mi mandava sempre una pianta
con dei fiori, di solito azalee, ma anche ciclamini: un vero gentiluomo! Alcune
mie amiche sostenevano che cercasse di ingelosire la sua amica di vecchia data
con questi comportamenti gentili verso un’altra ragazza. Ma io non l’ho mai
pensato. Purtroppo non so come la loro storia sia andata a finire. Quando nel
1970 lasciai definitivamente il CUSM, lui ancora veniva in collegio per lei e
spesso la domenica la portava in macchina per i dintorni di Milano.
Una
volta, mi sembra nell’aprile o nel maggio 1967, mi invitò ad andare un
pomeriggio a vedere i Rolling Stones. Era un evento per Milano, che oltre al
pomeriggio si ripeteva anche di sera, e lui doveva scrivere un pezzo per la sua
rivista di musica. Accettai felice e mi presentai nel teatro, dove i Rolling si
sarebbero esibiti quel pomeriggio, indossando... un tailleur!!! Molto carino,
ma del tutto inadatto al contesto... Quando Giuseppe mi vide cominciò a ridere
come un matto ed io lo imitai, consapevole di essermi vestita come per andare a
Messa la domenica!!! Non la smettevamo più e tutti quelli che ci circondavano
ci guardavano divertiti ed incuriositi...
Poi
all’improvviso sul palcoscenico apparvero loro, i Rolling, e il pubblico
cominciò ad urlare.
Fu
un concerto stupendo e i Rolling furono grandiosi, ma purtroppo finì come al
solito... Il pubblico delle prime file, scatenato, cominciò a spaccare le sedie
e a muoversi in maniera scomposta verso di noi che eravamo a metà della platea.
Sembrava un’onda, sempre più pericolosa, di lupi famelici e bramosi di sangue.
“Scappiamo,
svelta!!! ”Giuseppe mi prese per mano e mi trascinò fuori, di corsa...”
Diavolo! Dove hai parcheggiato la macchina?” chiesi io, mentre correvamo sempre
più veloci. Beh, non esageriamo... correvamo più o meno veloci... io, per colpa
delle scarpe con i tacchi, correvo come... una lumaca!!!
Il
viaggio di ritorno fu decisamente silenzioso. Eravamo pallidi e muti, non
vedevamo l’ora di arrivare al CUSM...
Poi,
in sala soggiorno, raccontammo la nostra disavventura ai nostri amici e la cosa
finì ridendo...
“Tutta
colpa della Norma che è andata a vedere i Rolling in talleur e scarpe con i
tacchi e ha stimolato la rabbia dei fan dei Rolling, quelli seri...” fu la
simpatica presa in giro dei nostri amici cusmini a conclusione della serata!
Che
indimenticabile disavventura!!!
Infine
giugno ed in parte luglio furono dedicati del tutto allo studio, poi finalmente
arrivò il momento di tornare in Abruzzo!
Che
felicità riabbracciare il mio “lui”!!! Anche lui tornava da un collegio
universitario, ma da Torino, dove frequentava il Politecnico per diventare
Ingegnere elettronico. La lontananza era finita e cominciava la parte più bella
dell’estate!
13) Il
‘68 si affaccia alle porte...
In
ottobre tornai in Collegio. Mi aspettavano gli esami conclusivi del primo anno.
Avevo
studiato archeologia durante il mese di agosto e per una settimana di settembre
ero stata anche dai nonni paterni per prepararmi meglio all’esame nel silenzio
di Castelnuovo.
Loro
erano molto curiosi e mi facevano molte domande su quello che stavo studiando.
Spesso il discorso finiva su Peltuinum, un municipio romano le cui rovine
distavano poco dal paese.
Le
conoscevo fin da piccola, perché spesso mio padre mi portava a vederle.
Lui
amava arricchire il lungo percorso a piedi con narrazioni sui ritrovamenti
archeologici.
Mi
raccontava che i contadini, quando aravano, spesso trovavano monete romane in
quella zona, e lui stesso, da ragazzo, ne aveva scoperte alcune che erano
affiorate in superficie subito dopo l’aratura. Mi descriveva anche come erano
fatte le case degli antichi Romani e come vestivano, sia in tempo di pace che
durante le guerre. Discorsi affascinanti per una bambina, e me li facevo
ripetere all’infinito, senza stancarmi mai...
Chissà,
forse la scelta del mio indirizzo di studi aveva le sue radici nel sostrato dei
racconti familiari... Il nonno ne era assolutamente certo! E tutta la famiglia
fu felice per il mio 30 in archeologia...
Inizialmente
in Collegio mi aveva assalito un senso di vuoto per la mancanza del calore
familiare e per la lontananza da Giorgio, ma in parte mi aveva fatto piacere
anche rivedere il contesto del CUSM e la sua variegata popolazione....
Ed
eccoci al punto... Il 9 di ottobre uscii con delle compagne di corso per fare
un giretto attorno al collegio. I soliti discorsi un po’ superficiali si
intrecciavano con risate, battute e racconti dell’estate appena trascorsa.
Ad
un certo punto incrociammo Mirella Zocchi, una studentessa del terzo anno.
Appariva molto turbata e appena ci vide, quasi con le lacrime agli occhi,
esplose così: “E’ morto il Che, è morto il Che! Ragazze, è morto il Che!!!”
Io
rimasi in silenzio, colpita. Sapevo chi era il Che, ma purtroppo non feci in
tempo ad “imbavagliare” una delle ragazze che, nella più plateale indifferenza,
se ne uscì con queste parole: “E chi è il Che? Chi lo conosce?” Mirella,
ammutolita, la guardò esterrefatta, poi, senza degnarci più di uno sguardo,
riprese a camminare.
“Non
puoi essere così superficiale!!!” esplosi, rivolta alla nostra incauta
compagna.
In
realtà non mi aveva colpito la sua mancanza di interesse per i fatti di
attualità politica, ma piuttosto la sua indifferenza di fronte al turbamento
evidente di Mirella.
“Non
puoi essere così insensibile! Dovevi capire, dal modo in cui ci aveva dato la
notizia, che era successo qualcosa di molto grave per lei! Voleva parlarne con
noi!”
La
cosa finì così: decidemmo di leggere quel giorno i giornali che trattavano
l’argomento e ne discutemmo insieme, a lungo, la sera stessa.
Qualche
tempo dopo, da sola, volli approfondire ulteriormente la storia di Che Guevara,
e ne rimasi ammaliata.
Fu
l’inizio di un cambiamento personale che nel corso di quell’anno divenne sempre
più evidente. E non solo per me.
Il ‘68 si era ormai affacciato alle porte...
._______*_______
INIZIATIVA DEL CIRCOLO CULTURALE SARDO
“LOGUDORO” ...
Il signor Tanaka Koichiro lavorava per una agenzia immobiliare situata nella zona nord di Tokyo, nel quartiere di Ueno, ma abitava nella zona sud della metropoli, nelle adiacenze della stazione di Totsuka, ovvero alla distanza di un’ora e mezza di treno, mezzo più veloce per collegare due punti di una città grande quanto una nostra provincia.
Dal lunedì al sabato, sempre, Tanaka usciva dal suo ufficio circa un’ora dopo la chiusura, cioè verso le 21, e questa abitudine, pur non avendo nessuna ragione apparente, era sempre stata da lui rispettata. Arrivava quindi alla stazione di Totsuka verso le 22.30, entrava nel convenience store ( negozietti aperti 24 ore su 24, dove si vende un po’ di tutto, tranne la qualità ) situato tra la stazione e la sua abitazione, comprava qualcosa di pronto confezionata in un vassoietto di plastica (e costituita quasi sempre da porcheriole), due lattine di birra gelata e un pacchetto di sigarette americane che bastava sino alla sera successiva, in quanto fumava sempre e solo 20 sigarette al giorno. Ricevuto il sacchetto con dentro il tutto, regolava i pochi yen con Suika ( una carta prepagata che serve pure per prendere il treno, il metro e altro) e si avviava verso la vicina abitazione, un bilocale posto al secondo piano di una palazzina di tre. Entrato in casa, toglieva le scarpe nell’atrio e metteva le pianelle, poi posava il sacchetto sulla sedia della saletta da pranzo, la più vicina all’atrio, quindi andava in bagno, passava di seguito nella camera da letto per togliersi giacca e pantaloni e mettersi il comodo pigiama, poi ritornava nella saletta da pranzo, toglieva il sacchetto dalla sedia, si sedeva, accendeva la tv e una sigaretta e, finita la sigaretta, consumava tranquillo e solo la squallida cena.
Tanaka era sulla cinquantina : qualche capello aveva perso quel colore nerissimo tipico dei giapponesi, gli occhi, un poco ingialliti, mostravano la poca cura verso gli alimenti, e una discreta pancetta, che dimostrava la poca cura verso lo sport, incominciava a farsi strada dal suo fisico minuto.
Il medico gli aveva consigliato di fare – così come precauzione – qualche esame, ma lui rinviava sempre la cosa perché avrebbe dovuto assentarsi, anche se solo per poche ore, dall’ufficio, cosa che non aveva mai fatto in ben trenta anni.
Viveva solo. Aveva avuto all’inizio della sua vita lavorativa, quindi da ventenne, una convivente, che i genitori gli avevano scelto come futura moglie, ma la cosa finì male, non si sa bene se per colpa sua, per colpa di lei o per incomprensione reciproca. Tra l’altro, un mese dopo l’ennesima litigata, che ruppe la vita a due, lei scoprì di essere incinta, e Tanaka ebbe a pagare un bel po’ di soldi per risolvere la cosa. Fu allora che, amareggiato, decise che non solo non si sarebbe mai sposato, genitori volenti o nolenti, ma anche che non avrebbe mai più convissuto con una donna : i problemi di sesso li avrebbe risolti solo con mercenarie : di qualsiasi tipo.
Ma anche qui le cose andarono male : una mercenaria, che lui si era messo a frequentare un po’ spesso, a un certo punto iniziò ad alzargli la tariffa e, di fronte alle giuste rimostranze del suo cliente, lo minacciò di fare uno scandaletto spifferando il tutto al proprietario dell’agenzia immobiliare, persona che teneva molto alla morale dei suoi subalterni. E anche in questo caso il buon Tanaka ebbe a sborsare un po’ di soldi per mettere il tutto a tacere.
Da quel giorno unico suo sfogo erano i film porno propinati da internet : erano gratis, non v’era problema di aborti o malattie o ricatti, si godevano in casa protetti : da sguardi indiscreti, dal freddo d’inverno, dal caldo d’estate.
Rimasto solo al mondo, da quando i genitori morirono in un incidente stradale mentre lui era sulla trentina, conduceva quindi una vita di una monotonia incredibile, ma.......
Ma sabato 7 di aprile dell’anno 5 dell’epoca Reiwa ( che corrisponde al nostro 2023 d.C.) qualcosa cambiò.
Quel giorno, come sempre, Tanaka uscì verso le 21 dall’ufficio, prese il treno a Ueno, e dopo circa un’ora e venti minuti arrivò a Totsuka : comprò le sue cose nel negozietto 24 ore, e si diresse verso casa. Entrò, tolse le scarpe e mise le pianelle, depositò meccanicamente il sacchetto degli acquisti sulla sedia della saletta più vicina all’atrio, andò in bagno, poi si cambiò in camera, e quindi ritornò nella saletta. Ma qui il buon Tanaka, alzato lo sguardo, ebbe una sorpresa : infatti c’era una donna seduta sulla sedia che era nell’altro lato del tavolo rispetto alla sedia su cui c’era il sacchetto degli acquisti, e su cui lui soleva consumare la cena guardando la tv.
Tanaka restò un attimo sbalordito, poi pensò a una visione e, per esser sicuro che non lo fosse, girò gli occhi da ogni lato come per sincerarsi di essere veramente in sé, ma si rese subito conto di esserlo : intorno a sé, infatti, rivedeva tutte le sue cose : l’atrio con le scarpe e le pianelle per gli ospiti, la porta del bagno, quella della camera da letto, l’immensa televisione di recente comprata, e la sua sedia con il sacchetto ancora da aprire : in più, però, c’era la donna seduta dall’altro lato del tavolo, come abbiamo detto.
Descriviamola : né giovane né vecchia, né grassa né magra, indossava una giacca e una gonna blu, portava gli occhiali e aveva un’aria indagatrice, come se l’intruso fosse Tanaka e non lei.
Il buon Tanaka la guardò a bocca aperta per un tempo che gli parve lunghissimo, senza riuscire a dir parola. Ci riuscì invece la donna.
- Ma lei torna sempre così tardi?
- Sì.... no..... cioè sì, ma....
- Non incominci come fanno tutti con i sì, i no, i ma, eccetera : risponda in modo preciso!
- Rispondo..... a.....a cosa ?
- Alla domanda che le ho fatto, ovviamente.
Tanaka cercò di connettere, poi dopo qualche secondo disse: -Ma scusi, lei chi è? com’è entrata qui?
-Mi chiamo Nishino e ovviamente sono entrata dalla porta, come fanno tutti, ma questo cosa c’entra?
- Come.... cosa c’entra?
La Signora estrasse dalla borsa – che era una borsa da lavoro, più che una borsa da donna – il suo bigliettino da visita e lo mise sul tavolo. Tanaka lo afferrò e lesse:
“S.R. SOCIETA’ RIPESCAGGI SPA - Nishino Yumiko – impiegata ” e di seguito era riportato il numero di cellulare, l’indirizzo e-mail, eccetera.
- Insomma – disse Tanaka con voce malferma – lei cosa vuole?
- La mia società è specializzata in questo genere di attività, come è riportato sul biglietto da visista che lei ha appena letto.
- Guardi che io non capisco assolutamente niente!
- Questo già lo sapevamo, sennò non sarei qui.
- Lo sapevate ? Io chiamo la Polizia!
- Capirà cosa ne capirà la Polizia!
- Insomma, si può sapere perché lei è entrata nella mia casa? che intenzioni ha?
- Mi scusi, ma ha letto il mio biglietto da visita? Se l’ha letto dovrebbe esserle tutto chiaro, ma se non lo fosse glielo spiego meglio. La mia società, dove lavoro da ben 15 anni, è specializzata nel ripescaggio delle persone smarrite o deviate, come, mi pare, sia lei.
- Ripescaggio..... in che senso?
- Ripescaggio per una vita sensata. Ma lei si rende conto della vita che fa? le sembra giusto? Noi vogliamo che lei torni normale, che abbia una compagna, che mangi in modo decente, che si prenda ogni tanto un po’ di vacanze, insomma che la smetta con questa squallida monotonia e con ‘sti dannati film porno ! non ne è ancora stufo?
Così dicendo la donna si alzò, tolse la giacca, slacciò un poco la camicia, si diresse con fare deciso verso Tanaka e gli fu innanzi con soli due passi, come se il tavolo, che prima li separava, non ci fosse più, e giunta vicinissimo a lui tese le braccia......
- No! no! - esclamò impaurito questi cercando di arretrare,
ma arretrare non poteva, perché c’era qualcosa dietro che lo ostacolava, e allora ritornò a gridare “no!” “no!” e al suono dei suoi “no” si ritrovò sveglio nel suo letto di sempre : era domenica 8 aprile: prima mattina : fuori pioveva...
Il giorno seguente, cioé il lunedì 9 di aprile dell’anno 5 dell’epoca Reiwa, Tanaka Koichiro, per la prima volta in trenta anni di servizio, non arrivò al lavoro : pare che la sera dell’8 un’ambulanza del pronto soccorso, chiamata chissà da chi, fosse arrivata sotto la sua abitazione e lo avesse trasportato nel più vicino ospedale.
Tokyo, lunedì 10 aprile dell’anno 5 dell’epoca Reiwa.
In cust’annu a Pavia e in sos territorios de su Ticinu
tzelebramus solennemente sa figura de sant’Austinu.
Sun treighi seculos chi est bénnidu su corpus de su santu
dai Cagliari a Pavia grascias a chi at pótidu pagare tantu:
naro Liutprando chi est istadu re de sos Longobardos.
E tando, in custu períodu de Pasca, non solu sos Sardos
sas operas de su Duttore de sa Cheja cun desiderios
legímus pro chircare de cumprendere sos misterios
de sa vida: sa morte, maladias malas, sa pestilentzia.
Isperende chi nos agiuet assumancu sa cunsientzia
pius manna chi at sa cuncetzione teologica cristiana,
faghimus tantos augurios de Bona Pasca de Abrile
e chi pro totus siat unu comintzu de rinàschida beranile!
Paulu Pulina
Buona Pasca 2023
In quest’anno a Pavia e nei territori del Ticino
celebriamo solennemente la figura di sant’Agostino.
Sono tredici secoli che è venuto il corpo del santo
da Cagliari a Pavia grazie a chi ha potuto pagare tanto:
dico Liutprando che è stato re dei Longobardi.
E allora, in questo periodo di Pasqua, non solo i Sardi
le opere del Dottore della Chiesa con desideri
leggiamo per cercare di comprendere i misteri
della vita: la morte, brutte malattie, la pestilenza.
Sperando che ci aiuti almeno la coscienza
più grande che ha la concezione teologica cristiana,
facciamo tanti auguri di Buona Pasqua di Aprile
e che per tutti sia un inizio de rinascita primaverile!
Paolo Pulina
RispondiInoltra |
Sulle ricordanze
Ho letto l’aneddoto scritto dal mio caro vecchio Tex.
Alcune settimane fa Tex mi aveva chiesto, facendomene un rapido sommario online, se mi ricordavo questa sua avventura di cui era stato compagno Vincenzino, ma per me era una novità, non solo ma era anche avventura così ardita e incosciente da esser poco credibile. Soprattutto era poco credibile che ne fosse stato coinvolto Vincenzino, da prudente e attento siculo qual era.
In quei giorni io ero senz’altro al Cusm. Vincenzino non mi disse niente : non avrebbe parlato nemmeno sotto tortura. Ma il buon Tex ? Possibile che Tex con cui a notte fonda, non sapendo più che inventare, si andava ( partecipe il grassottello e regolarmente ciucco Pennetta) a suonare il campanello dell’Istituto Religioso Suore di Santa Birgitta in Lugano, possibile -dico- che Tex, che a volte mi svegliava di prima mattina con la sua morbida e calda lingua nell’orecchio, possibile – insomma- che Tex, con cui dividevo il fondo del bottiglione di barbera dell’orribile osteria “La Teresina” in Sesto, non mi abbia confidato la cosa? Impossibile.
E allora di chi è la colpa se io non ricordo il fatto ? E’ di quella stronza di Mnemòsine, Dea delle Ricordanze, fornitrice della cera di cui è ricoperta l’anima degli uomini ( almeno così fa dire Platone al buon Socrate nel Teeteto). Infatti Mnemòsine
forniva ( e probabilmento lo fa ancora) ad alcune anime cera buona, su cui rimaneva l’impronta della sensazione, e quindi era possibile la ricordanza, ad altre cera scadente, su cui non rimaneva niente e niente si poteva ricordare: atteggiamento, questo, assolutamente poco democratico, diremmo oggi.
Ma dopo quella scopata della madonna fatta con Zeus, dalla quale son nate le nove Muse, Mnemòsine, completamente rincoglionita, si è messa a fornire alla stessa anima cera buona e cera cattiva. Così è occorso a me, e il risultato è che le sensazioni attinte dalle luganate, dalle slinguate e dal barberaccio, cadendo sulla parte di cera buona, sono rimaste impresse nella mia anima, mentre le sensazioni del racconto dell’affare Comit, dell’incidente di via Solferino, dell’assalto mal riuscito a due fanciulle, cadendo sulla parte di cera cattiva, non hanno lasciato impronta, e quindi niuna ricordanza.
Giorgio dal lontano Oriente.
( Qui ora è la settimana della fioritura dei ciliegi, e tutti vorrebero ammirarli (お花見), ma, chissà perché, in questa settimana piove quasi sempre : dev’essere, anche in questo caso, colpa di qualche dea indignata perché la gente vuol ammirare i ciliegi, e non porta offerte nei suoi templi : guardatevi dagli Dei! )
12 DICEMBRE 1969 – UN ANEDDOTO
In un recente scambio di mail con Giorgio, partite anche dal ricordo della mitica Taunus dal motore possente ed orgoglio dell'industria automobilistica a stelle e strisce, abbiamo rievocato alcuni dei tanti episodi vissuti assieme durante quegli anni del vino e delle...pardon del vino e basta.
Tra questi è emersa dalla mia memoria un'avventura alla quale Giorgio non partecipò e che invece vivemmo io e Vincenzo Sarullo da Ribera figlio di un grosso commerciante di olio.
Prima che il tempo si porti nuovamente via i ricordi, consentitemi di raccontarvi il relativo aneddoto che potrebbe sembrare inverosimile ma sulla cui veridicità sarei disposto a mettere la mano sul fuoco. Sarei altresì lieto, se qualcuno riuscisse a sapere dove egli si trova adesso, di confrontarmi in proposito con il compagno di quella sera sempreché pure lui sia assistito da una buona memoria.
Era il giorno della strage di piazza Fontana e la mattina la passai in collegio in un accavallarsi di notizie contrastanti alle quali poco alla volta fecero seguito informazioni sempre più precise che delineavano la situazione effettiva; si passò così dall'iniziale ipotesi di una fuga di gas in Banca Nazionale dell'Agricoltura alla consapevolezza dell'esplosione di una bomba alla quale fecero seguito le altre tre bombe di Roma e quella fatta brillare all'interno della Comit di Piazza della Scala.
Fu così che quella sera dopo cena io e Vincenzo Sarullo decidemmo di scendere in città con la sua Mini, orgogliosamente definita di color grigio perla dalla casa produttrice ma di color grigio smog della Milano di quegli anni secondo me, che parcheggiammo nelle vicinanze di Piazza Duomo.
Ci recammo a piedi verso la sede della Comit di Piazza della Scala dove nel pomeriggio gli artificieri avevano fatto brillare una bomba inesplosa contenuta in una borsa trovata da un commesso nei locali della banca.
L'esplosione controllata avvenne in un cortile interno e fu così che vennero distrutti preziosi indizi sul timer usato e soprattutto sulla borsa di marca tedesca acquistata in un negozio di Padova, come accertato in un secondo momento, che avrebbero potuto orientare sin da subito le indagini verso la pista della destra eversiva veneta facente capo al duo Freda e Ventura.
Ci mischiammo ad una piccola folla di curiosi ammassata davanti ad un'entrata laterale della banca, che poi scoprii essere quella del personale, il cui portone era spalancato. Ci posizionammo dietro a delle mini transenne in rete metallica che si usano nei cantieri edili, alte non più di un metro ed ivi poste per impedire che la gente entrasse; c'era un unico corridoio di accesso posto dalla parte opposta dell'area perimetrata dove noi eravamo posizionati ed era presidiato da un pisolante vigile urbano.
Mi suona strano e tuttora m'inquieta pensare che, con tutto quello che era successo durante il giorno, a presidiare un posto critico come quello dove al mattino c'era stato un tentativo di strage avessero mandato solo un onesto produttore di multe per sosta vietata distogliendolo dalla sua profittevole attività abituale.
Fu lì che, mentre da dietro a quelle mini transenne io e Sarullo stavamo sbirciando all'interno del portone, vidi comparire dall'altra parte dell'area recintata una persona infagottata in uno stazzonato soprabito di color chiaro alla tenente Colombo.
Si trattava di un quasi coetaneo, occasionale conoscenza incrociata nella aule di Via Festa del Perdono dove forse era iscritto a Scienze Politiche, con il quale avevo scambiato solo poche frasi.
Costui fotografava con una fotocamera professionale assemblee e manifestazioni, mi diceva che cedeva queste foto ad “amici” - polizia o giornali od ambedue pensavo io senza che peraltro mai mi abbia precisato chi fossero questi suoi “amici” - e rispondeva al nome di Paolo.
Solo diversi anni dopo capii che si trattava di Paolo Longanesi, figlio del defunto editore Leo, allora ai primordi della sua carriera di giornalista e questo lo venni a sapere quando lo riconobbi in televisione inquisito in qualità di cronista del Giornale Nuovo di Montanelli.
L'accusa era di aver diffuso notizie secretate relative alle confessioni sull'organizzazione mafiosa che il boss Epaminonda, da poco catturato, stava rendendo alla Procura di Milano; ligio all'etica professionale Longanesi si rifiutò di fornire ai magistrati il nome della sua fonte e per questo venne arrestato e processato.
Quella sera lo vidi parlottare qualche secondo con il vigile – unica presenza delle forze dell'ordine impiegata per controllare l'accesso alla banca - e, grazie ad una prontezza di riflessi mai più avuta successivamente e soprattutto ad un'incoscienza tuttora perdurante, scavalcai le transenne che delimitavano il perimetro al di fuori del portone e Sarullo, lasciata cadere a terra sua Marlboro, prontamente mi seguì.
Salutai ad alta voce con un ciao Paolo, attraversai lo spazio recintato, lo raggiunsi, gli strinsi la mano e lui ricambiò distrattamente forse senza riconoscermi del tutto avendo altro per la testa. Questo frettoloso saluto fatto davanti al precitato pisolante distributore di multe fu sufficiente per superare la sua occhiuta vigilanza e, avendo egli prontamente capito che né io né Sarullo eravamo veicoli muniti di targa, non ci chiese alcun documento e ci lasciò passare.
Capisco perfettamente la situazione di confusione della giornata ma a tutto c'è un limite: fosse stato per il suo controllo avremmo potuto tranquillamente entrare armati e fare una strage oppure inquinare e distruggere preziosi indizi.
Ma però queste due ultime operazioni erano già state completate nel pomeriggio quando in seguito a frettolose (solo frettolose?) istruzioni venne fatta brillare la bomba.
Una volta entrati al seguito di Paolo ci trovammo in un ampio salone con un lungo tavolo centrale, che probabilmente fungeva anche da teca, la cui copertura in vetro era saltata come erano saltate anche alcune vetrate dei finestroni delle quali c'erano ancora alcuni pezzi per terra. L'unica fonte di illuminazione proveniva dai lampioni stradali all'esterno dell'edificio e, in quella semi penombra si aggiravano e parlavano tra di loro alcune persone in borghese che dal taglio di capelli si poteva presumere appartenessero ai servizi od alle forze dell'ordine.
Paolo si diresse a passo veloce verso un corridoio che portava all'interno probabilmente al cortile dove era stata fatta brillare la bomba, noi invece ci limitammo a fare il giro del tavolo e ad uscire rapidamente: stavamo raggiungendo la consapevolezza che forse avevamo messo la testa nella fauci della tigre e che in quel posto non avevamo alcun titolo ad esserci.
Ulteriore anomalia di quella giornata fu il fatto che, per nostra fortuna, nessuna di quelle persone ci chiedesse chi fossimo o che ci stessimo lì a fare malgrado io con capelli lunghi, barba ed un maglione rosso girocollo non potessi passare inosservato in quell'ambiente.
Sarebbe bastata una semplice domanda ed avremmo passato delle giornate sicuramente indimenticabili nell'attesa che venisse chiarito che eravamo solo due incauti pivelli curiosi. Con gli inquirenti brancolanti nel buio ma già fin d'allora orientati verso la pista rossa, i giornali tre giorni dopo anziché aprire le prime pagine titolando sull'arresto del ballerino anarchico avrebbero forse scritto della coppia “mona da Treviso e suo amico” e sicuramente dieci anni dopo non avrei iniziato la mia carriera di funzionario Comit.
Probabilmente chiudemmo la serata alla Cantina Scoffone vicino a piazza Duomo ai cui tavoli neri allora si poteva bere dell'ottimo vino Barolo Fontanafredda al bicchiere e tornammo in collegio.
Resici seppur solo tardivamente conto del rischio corso, nei giorni immediatamente successivi evitammo di diffondere i particolari della nostra incauta esperienza di quella sera. Da parte mia evitai di parlarne anche in periodi successivi derubricando il fatto a poco più di una goliardata ed accantonandolo nei meandri della memoria dai quali è riemerso con tutti i suoi dettagli in questi giorni.
E questa dicono sia la memoria dei vecchi.
pietro.maddaluna@gmail.com