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Blog fondato da Giuseppe "Pippo" Ripa


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novita'

Quale è la cosa più difficile di tutte? Quella che sembra la più facile: con gli occhi vedere ciò che davanti agli occhi si trova. (Goethe)

lunedì 26 marzo 2012

CUSMINORUM FRAGMENTA (di Norma Casilio)

Norma Casilio ha inviato e pubblichiamo:

 Pippo Ripa 
Una sera di novembre dell’anno accademico 69/70 tornavo lentamente verso il collegio Bassini dalla fermata della metropolitana (Piola, forse). Ero un po’ abbattuta: non mi avevano rinnovato la borsa di studio per l’ultimo anno di frequenza, la mia famiglia da Sulmona si era trasferita a Roma e premeva perché lasciassi Milano e cambiassi università. Piccolo particolare: il mio ragazzo era a Torino, studiava ingegneria al Politecnico di quella città….Ovviamente non avevo alcuna intenzione di spostarmi a Roma!!! Dal Cusm, dove non potevo più stare, mi ero temporaneamente trasferita al Bassini che costava meno, ed intanto mi arrovellavo per trovare una soluzione, restare a Milano e concludere gli studi a Festa del perdono, senza la borsa e senza pesare sulla mia famiglia. E con la possibilità di continuare a vedere il mio “lui”. Dovevo assolutamente cercarmi un lavoro….
Ad un tratto si materializzò accanto a me Pippo Ripa, anche lui di ritorno dalla fermata della metropolitana. Ci conoscevamo solo di vista, come capitava a molti in collegio, dove in realtà si frequentava solo un ristretto numero di amici, spesso della stessa facoltà e dello stesso anno. Ci mettemmo a parlare. Pippo comunicava un senso di tranquillità, con la sua voce pacata, e mi ritrovai a raccontargli tutti i miei “guai”. Dissi anche un po’ di sciocchezze, chiedendomi ad alta voce se esistessero società finanziarie che prestavano soldi agli studenti da restituire a rate con i primi stipendi, una volta iniziato a lavorare. (Ho saputo poi per caso, molti anni dopo, che negli Usa esistono….) Lui mi fece sfogare, mi ascoltò con pazienza ed attenzione, non mi derise per la mia idea balzana, ma mi invitò ad accantonarla perché assolutamente impraticabile. Dovevo contare sulle mie sole forze, trovare in me stessa la grinta per superare il brutto momento senza lasciarmi abbattere, cercare un’occupazione: non lezioni, ma qualcosa di continuativo, analizzando sulla stampa le offerte di lavoro o, meglio, chiedendo in giro tra amici e conoscenti. E contare anche sulla fortuna, che è sempre presente nelle esperienze umane. Un discorso da amico. Un discorso che mi rasserenò. Credo che lui nemmeno lo ricordi, per lui era un fatto naturale dare consigli, un po’ come respirare. Il discorso piano piano si allargò ai massimi sistemi, divenne di più ampio respiro, come spesso a quei tempi. Giustizia, ingiustizia, solidarietà, socialismo, capitalismo… e il mio problema mi sembrò allora quello che effettivamente era, piccolissimo.
Seguii i suoi consigli; feci correre la voce ed ecco che il lavoro si presentò: Giampiera (non la ringrazierò mai abbastanza) mi disse che in Università cercavano una studentessa per catalogare i libri e gli articoli del lascito di un famoso professore di latino e per un anno ebbi un’occupazione assicurata….Ed ecco presentarsi anche la fortuna: due studenti che avevano ottenuto la borsa rinunciarono (forse perché il collegio, da molti punti di vista, era veramente scomodo…)  ed io e Tiziana Begarani, che eravamo le prime due escluse, rientrammo al CUSM con la borsa di studio!
Caro, vecchio CUSM, come mi era mancato!!!
Grazie, Pippo!!!

Norma Casilio

Le sulmonesi ed il CUSM
Il CUSM ospitava alcune ragazze di Sulmona: P.B. e L.L. dall’a.a. 1965/66, V.C. ed io, Norma Casilio, dall’a.a. 1966/67. In realtà io non potevo considerarmi proprio una sulmonese d.o.c.: nata a L’Aquila, ero approdata nella bella cittadina abruzzese, patria di Ovidio, a dodici anni, in seguito al trasferimento di mio padre per motivi di lavoro. Ma dopo aver frequentato lì la seconda e la terza media e i cinque anni del liceo classico, mi ero completamente integrata in quella realtà di provincia.
Per spiegare che cosa il CUSM abbia rappresentato per noi bisogna fare un passo indietro e raccontare come fosse organizzato e diretto con pugno di ferro il liceo classico “Ovidio” di Sulmona nella prima metà degli anni sessanta, cinquanta anni fa.
Le classi dovevano essere, secondo la visione del Preside, rigorosamente solo maschili e solo femminili. In realtà esisteva, formatasi per cause di forza maggiore, anche una classe mista, per questo…. sorvegliata a vista e guardata con sospetto!
Noi ragazze dovevamo entrare a scuola alle 8,20, mentre i nostri compagni alle 8,25. I due gruppi non si dovevano mescolare salendo le scale. I ritardatari erano ammessi in classe solo “ in via del tutto eccezionale”. Durante la ricreazione i due gruppi non si dovevano incontrare: esisteva una linea di divisione invisibile del corridoio che non doveva essere superata per nessun motivo. L’uscita era regolata come l’entrata. Era come se all’interno di uno stesso edificio scolastico esistessero due scuole separate. Qualche volta però mi veniva affidato dai docenti il compito di andare in sala professori a portare o prendere qualche libro, perciò riuscivo ad addentrarmi nella metà proibita del corridoio e, siccome le lezioni si svolgevano generalmente a porta aperta, riuscivo a sbirciare nell’aula dove il mio “lui” seguiva attentamente le lezioni. Che emozione!
Impossibile, durante le ore di scuola, parlare con i nostri compagni, ragionare con loro, scherzare.
Fuori di scuola la situazione migliorava, ma non di molto.
C’era il rito dell’accompagnamento: un ragazzo accompagnava una ragazza per la quale provava un certo interesse, che però si trascinava dietro come minimo un paio di amiche, almeno fino al momento della “dichiarazione”….Allora, in caso di accettazione del legame da parte della ragazza, si formava una coppia, ed automaticamente le amiche smettevano di fare da chaperon…. Si passeggiava nella Villa comunale, la domenica si ballava nelle case al suono del giradischi, sotto l’occhio vigile ma discreto dei genitori, e gli amori, quelli già nati e quelli che nascevano a suon di musica, erano regolati da inesorabili orari di rientro. Guai trasgredire! Musi lunghi e proibizioni erano il risultato, sia pure temporaneo, dell’alzata di testa! Bisognava prendere qualche bel voto per far tornare il sorriso sulle labbra di mamma e papà. Compito facile: noi eravamo infatti tra le ragazze più brave del liceo classico, fiore all’occhiello dei nostri insegnanti e dei nostri genitori!
E all’improvviso ci ritrovammo nel CUSM. Sembrava un sogno. Finalmente la libertà! Eravamo affidate finalmente solo a noi stesse e al nostro buon senso. Il bisogno di confrontarsi con “l’altra metà del cielo” era forte, non avevamo avuto mai dei compagni di classe! Ci era quasi sconosciuto il modo di pensare dei ragazzi e, dal bisogno di percepire “visioni del mondo” diverse dalle nostre, nacquero delle belle amicizie, che arricchirono di sfumature il nostro modo di accostarci alla realtà.

Norma Casilio

Francesco e Francesco Paolo
Per noi studentesse al primo anno di università, i primi mesi del ‘66/67 furono quelli della socializzazione con gli altri ospiti del collegio, dei processi alle matricole, subiti con un certo divertimento, nonostante tutti gli sforzi dei “giudici” per risultare antipatici…. furono quelli dei grandi discorsi, delle ore passate a perdere tempo, dei balli e dell’ascolto della musica in teatro…. Abituate al regime un po’ oppressivo del liceo, la libertà ci diede un po’ alla testa, fu come ritrovarsi all’improvviso sulla cima del K2! Alcune di noi erano borsiste, perciò, se volevamo rimanere lì, dovevamo impegnarci …..
Organizzare le giornate di studio era difficile per una matricola. La mattina partivano due pullman per le sedi universitarie di Festa del perdono e di Città studi, uno per gli studenti “umanisti”, l’altro per quelli “scientifici”. Ci riportavano indietro all’ora di pranzo e questo avanti ed indietro si ripeteva di pomeriggio. Seguire le lezioni non era semplice, bisognava prendere appunti e riordinarli, ed un registratore a volte avrebbe fatto proprio comodo….. Gli esami, oltre al corso, prevedevano molte parti che bisognava studiare da soli, perché si presupponeva, ed allora era realmente così, che dei ragazzi usciti dal liceo fossero in grado di leggere, capire e studiare da soli tomi pesantissimi.
Bene, in questo quadro l’amicizia dei ragazzi fu fondamentale. Si muovevano con più disinvoltura in questo nuovo mondo rispetto a noi, o, per lo meno, questa era la mia sensazione.
Ci si vedeva sul pullman e all’ora di pranzo e di cena, prevalentemente. I tavoli erano da quattro e quelli che erano diventati amici spesso ne occupavano due o tre vicini. Oppure, al contrario, si diventava amici perché ci si ritrovava più volte a mangiare in tavoli vicini. Ma di che cosa si parlava? Io, Titti e Lina spesso chiacchieravamo con Francesco Paolo Colucci e Francesco Facchini. Si scherzava, ma si affrontavano anche argomenti seri, se capitava.
Penso di aver imparato di più sulla Resistenza dai discorsi di Francesco Facchini che da tutto quello che avevo studiato fino a quel momento….Sono stata la sua prima studentessa, ma credo che lui non l’abbia mai nemmeno lontanamente supposto!
Francesco Paolo Colucci era forse il più brillante nel nostro gruppetto di matricole “umanistiche”. Studiava filosofia ed a lui sono debitrice di un ottimo consiglio: smettere di frequentare il corso di filosofia teoretica tenuto dal Paci, troppo difficile per noi di lettere, per passare al corso filosofia morale tenuto dal Cantoni. Ancora oggi, quando sento parlare di Husserl e della sua epoché, mi vengono i brividi….Ed ancora oggi penso a Francesco Paolo tutte le volte che sento parlare di filosofia teoretica…

Norma Casilio

1 commento:

  1. grazie, norma, di questi tuffi nel passato.

    Sul consiglio di francesco paolo una domanda :
    " non è che era stato lo stefano zecchi che direttamente o indirettamente ti aveva spinto a seguire il corso del paci ? ".

    piero

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